Antonietta Raphaël Mafai CARTE

Autoritratto, inchiostro acquerellato, cm 28×22, 1948

“Ho perduto parecchio tempo a disegnare, ma in fondo disegnare non è mai tempo perduto. È piuttosto una chiarificazione di ciò che un artista pensa di realizzare nella pittura e nella scultura”. Come si evince da queste parole, scritte da Antonietta Raphaël Mafai nel 1968, il disegno ha per lei un ruolo fondamentale, funzionale nel fissare un’immagine, un’idea, una sensazione sulla quale lavorare senza sosta.

La mostra Antonietta Raphaël Mafai – Carte – al Museo Carlo Bilotti dal 23 novembre 2017 al 21 gennaio 2018, promossa daRoma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, curata da Giorgia Calò – presenta una selezione di circa 50 carte dell’artista, la maggior parte delle quali inedite, che ripercorrono la sua lunga attività, dagli anni Venti fino al 1975, anno della sua scomparsa. Da qui è naturale scoprire il suo cambiamento stilistico col passare dei decenni: come alle pose bloccate degli anni Trenta, influenzate dal modello egizio e dalla statuaria greca arcaica, ad esempio, si sostituisca una gestualità sintetica e più dinamica.

Il percorso espositivo si apre nella project room per poi proseguire nelle tre salette, una delle quali dedicata alla documentazione con filmati, pubblicazioni e materiali che spiegano il percorso e la carriera di Antonietta Raphaël Mafai, protagonista dell’arte italiana del Novecento nonché fondatrice, insieme a Mario Mafai e Scipione, della Scuola Romana.

Le opere, che provengono da collezioni private, rivelano i temi prediletti dall’artista: il nudo (prevalentemente femminile), il volto, la maternità e la fertilità. Temi questi che rispondono a un’ispirazione fatta di richiami alla vita famigliare, alla realtà quotidiana, ma anche alla sua radice ebraica che si afferma come un’articolata questione privata.

Alcuni dei disegni in esposizione sono stati realizzati da Raphaël come bozzetti per i suoi lavori scultorei, tecnica a cui l’artista giunge in un secondo momento della sua carriera fino a diventare la sua principale scelta espressiva, con una determinazione che ne farà “l’unica autentica scultrice italiana”, come dirà di lei Cesare Brandi. A dimostrazione di ciò è prevista in mostra l’esposizione di alcune sculture, allestite a fianco dello studio preparatorio.

In sintesi, l’opera grafica si palesa come strumento espressivo ricco, complesso e indipendente alla pari della pittura e della scultura stessa, poggiando sul confronto tra le diverse tematiche e l’utilizzo di materiali diversi come la carta e il bronzo.

Il lavoro di Antonietta Raphaël va dunque visto nel suo insieme. Non si può capire fino in fondo la sua ricerca scultorea (e pittorica, di cui vi sono in mostra due splendidi esempi) senza tenere conto dei disegni preparatori, a volte decine che spesso esulano dalla semplice prova tecnica, per diventare opere a sé, indipendenti dal passaggio successivo che li trasformerà in oggetti plastici.  

In occasione del finissage sarà presentato il libro 103 Drawings by Antonietta Raphaël. Carte, edito da DFRG Press LTD, a cura di Giuliano Catalli, con testi di Giorgia Calò, Giuliano Catalli, Giulia Mafai, Lea Mattarella, Edoardo Sassi, Valentina Virgili. Schede e apparati a cura di Livio Bosco.  

I servizi museali sono a cura di Zètema Progetto Cultura.

 

Biografia:

Antoinette Raphaël, ultima figlia del rabbino Simon e di Katia Horowitz, nasce a Kovno il 29 luglio 1895. L’artista trascorre l’infanzia in Lituania in un’epoca in cui vengono promulgate leggi razziali a danno delle minoranze, cui seguono terribili pogrom. Nel 1903 muore il padre e due anni più tardi, con lo scoppio della rivoluzione, si trasferisce con la madre e i fratelli a Londra. In un contesto cosmopolita conosce Jacob Epstein che considererà sempre il suo maestro. Si dedica al canto, alla musica e al teatro. Nel 1915 si diploma in pianoforte alla Royal Academy of Music. È durante questi anni che comincia a disegnare e ad appassionarsi di scultura egizia. Nel 1924, in seguito alla morte della madre lascia Londra per Parigi e dopo poco è a Roma dove comincia a seguire i corsi di disegno alla Scuola libera del nudo. Qui incontra Mario Mafai. Nel febbraio 1926 nasce la sua prima figlia Miriam. L’anno dopo con Mafai, che sposerà nel 1935, va ad abitare in un appartamento in via Cavour che, anche grazie alla frequentazione di Scipione e Mazzacurati, diventerà teatro di quella che Longhi definirà “Scuola di via Cavour”. Nel 1929 esordisce alla I Sindacale del Lazio. Nello stesso anno è presente con 18 dipinti in una collettiva di 8 artiste alla camera degli Artisti. La critica rivela il “sapore prettamente russo” della sua pittura, tendente all’arabesco di gusto arcaico e popolaresco, oltre che il respiro internazionale e la portata innovatrice. Nel 1930 torna con Mafai a Parigi dove comincia a dedicarsi alla scultura e poi, da sola, si sposta a Londra per riallacciare i contatti con le vecchie conoscenze. Torna a Parigi e infine in Italia nel 1933. Nel 1938, la promulgazione delle leggi razziali la costringe a fuggire da Roma. Si nasconde prima nei pressi di Forte dei Marmi e poi a Genova. L’anno dopo è nella vecchia Villa Fioroni a Quarto dei Mille dove alloggerà fino al 1943. Di nuovo a Roma, ottiene uno spazio all’Accademia di Belle Arti ma la sua inquietudine la porta di nuovo a Genova. Ritorna a Roma definitivamente nel 1953. Tra il 1948 e il 1954 partecipa a varie edizioni della Biennale di Venezia e alle Quadriennali romane. Nel 1956 è in Cina con una delegazione italiana composta da Fabbri, Sassu, Tettamanti, Turcato e Zancarano. Al ritorno espone alla galleria La Strozzina di Firenze e in seguito in varie collettive in Europa, Asia e America. Alla metà degli anni Cinquanta giunge finalmente il riconoscimento dell’apporto dato all’esperienza della Scuola Romana. All’VIII Quadriennale del 1959-60, nella mostra “La Scuola Romana dal 1930 al 1945” vengono esposte diverse sue opere che la confermano tra i protagonisti dell’arte italiana fra le due guerre. Nella seconda metà degli anni Sessanta si dedica sempre più intensamente alla scultura, realizzando fra l’altro la fusione in bronzo delle sue opere più impegnative. Si spegne il 5 settembre 1975.

 

 

mostra a cura di Giorgia Calò

Roma, Museo Carlo Bilotti, Aranciera di Villa Borghese

Apertura al pubblico: dal 23 novembre 2017 al 21 gennaio 2018

 

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