“Alberto racconta Sordi”

Alberto racconta Sordi”, Maria Antonietta Schiavina presenterà il suo libro a Labico: “Il suo cinema parlava al popolo”

Parlare di Alberto Sordi è semplice e complesso allo stesso tempo. Da una parte, infatti, è un personaggio che non smette mai di stupire e si presta a interpretazioni e suggestioni ogni volta rinnovate. Dall’altra, invece, si rischia di ripetersi come succede con tutti i più grandi. Il problema non si pone nel libro “Alberto racconta Sordi” di Maria Antonietta Schiavina, giornalista e scrittrice che ha raccolto le parole dell’indimenticato attore dando alle stampe una novità editoriale utile per conoscere sia l’uomo che l’artista. In attesa della presentazione di Labico (domenica 23 agosto alle ore 21), l’autrice ha rilasciato un’intervista in esclusiva per la Fondazione De Cultura nella quale ha risposto ad alcune domande sul libro e sul suo protagonista.

Maria Antonietta Schiavina, questa intervista fatta al grande Albertone nazionale desta nel pubblico una certa emozione a distanza di qualche anno dalla sua scomparsa. Effetto della sincerità di Sordi nelle risposte o altro?

Effetto del grande amore che il pubblico nutre ancora oggi, a distanza di anni, per un attore, ma soprattutto un uomo che ha fatto del pubblico la sua famiglia e che per questa “famiglia” ha rinunciato a molte cose, felice di essere l’Albertone di tutti.

Uno degli aspetti che emerge principalmente è la caparbietà con cui Sordi ha lottato per entrare in un mondo dello spettacolo che sembrava chiudergli le porte. Ne parlava con sofferenza o con soddisfazione di queste difficoltà ad essere considerato?

Degli ostacoli incontrati nei primi anni del suo percorso e della caparbietà che gli ha permesso di realizzare i suoi sogni, Sordi parlava con grande orgoglio, invogliando spesso i giovani a fare altrettanto e a non arrendersi mai, anche quando le difficoltà possono sembrare insormontabili.

In che modo, invece, le ha raccontato i primi successi? Più nostalgia o più entusiasmo?

Con grandissimo entusiasmo e anche un pizzico di nostalgia, ma più che altro per gli anni della gioventù, la famiglia e gli amici andati via prima di lui.

Sordi, secondo lei, aveva paura della morte?

Non proprio, ma diceva che gli dava fastidio non esserci più quando gli altri sarebbero andati avanti.

Uno degli aspetti su cui meno si sa, della vita di Sordi, è l’amore. Che uomo era l’Albertone innamorato?

Un uomo gentile, tenero, ma libero, assolutamente libero e chiaro fin dall’inizio, senza ipocrisie: il matrimonio non faceva per lui!

Lei ha dichiarato che Alberto si commuoveva spesso nel rispondere alle sue domande. Quali argomenti lo toccavano più profondamente?

La famiglia, soprattutto il padre, morto quando lui aveva solo vent’anni, la madre che adorava, i vecchi, la sofferenza, la religione.

Se dovesse indicare due personaggi, fra i tanti incontrati, di cui Sordi le ha parlato con più affetto, che nomi farebbe e perché?

Federico Fellini, perché è stato l’amico con cui ha diviso la miseria, le illusioni, i primi successi. Poi Vittorio De Sica, il suo punto di riferimento, quando ragazzino voleva fare cinema; lo sceneggiatore Sergio Amidei, caratteraccio geniale di cui raccontava le sfuriate e Rodolfo Sonego, suo compagno di avventura in tanti film.

Qual è, emotivamente parlando, il messaggio più bello che lei, da autrice, si porta dentro dopo aver scritto questo libro?

Quello di aver avuto la fortuna di conoscere e ascoltare per tanto tempo le confidenze di un divo non divo, con grandi valori, una semplicità di vita inimmaginabile in un attore come lui amato da tutti, anche se snobbato dai cosiddetti intellettuali, perché il suo cinema parlava al popolo e non ai frequentatori di salotti.

Intervista a cura di Rocco Della Corte

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