Nostra signora in rosso Diana Vreeland

Why don’t you…? Si intitolava così la rubrica di Diana Vreeland su Harper’s Bazaar, rivista che diresse fino ai primi anni Sessanta per poi prendere il timone dell’edizione americana di Vogue, dove rimase fino al 1971. La Vreeland fu una delle giornaliste di moda più potenti del Novecento e attraversò il Secolo Breve con impareggiabile eleganza e soprattutto con uno spirito critico che impresse una svolta decisiva alla professione. Amava il rosso al punto che il salotto del suo appartamento newyorkese (in foto) era in total red. Di questo colore simbolo di amore passionale, peccato e rivoluzione amava dire: “Il rosso è il grande chiarificatore: brillante, purificatore e rivelatore. Non potrei mai stancarmi del rosso … Sarebbe come stancarsi della persona che ami. Per tutta la vita ho inseguito il rosso perfetto.” E fu proprio per via di un tocco di rosso aggiunto ad un abito bianco che Carmel Snow, altro mostro sacro del giornalismo di moda, la notò ad un ballo, ne fu colpita e le chiese di scrivere per Harper’s Bazaar. Correva l’anno 1937 e con la sua column Perché non? la Vreeland incominciò a dispensare bizzarri consigli alle donne di tutto il mondo, il più celebre dei quali rimane quello di lavare i capelli dei bambini biondi con lo champagne avanzato! Quando diresse Vogue cambiò per sempre il giornalismo di moda, poiché si interessò a temi di attualità che tuttavia creavano scalpore tra i benpensanti: la pillola anticoncezionale, i diritti delle donne, l’omosessualità, i Beatles, la contestazione giovanile. La sua intuizione fu geniale e profetica: le nuove lettrici dei giornali di moda sarebbero state giovani donne in cerca di emancipazione, libere e liberate, interessate all’attualità, alla politica e alla cultura e non solo ai vestiti. Grazie alla sua lungimiranza la Vreeland non solo liberò il giornalismo di moda da quell’aurea obsoleta di prodotto editoriale per l’alta società (un po’ alla Irene Brin), ma lo collegò alla narrazione dei mutamenti nel costume e nelle abitudini di vita di donne e uomini del XX secolo. Si racconta che ai redattori in partenza per i servizi di moda fosse solita dire: “Esagerate e se non trovate quello che vi ho chiesto allora inventatelo.” Da convinta anticonformista riuscì a mettere in crisi il dogma del buon gusto: “Abbiamo tutti bisogno di un po’ di cattivo gusto. È la mancanza totale di gusto che non condivido.” Fu lungimirante anche sugli stilisti ed ebbe un grande fiuto nell’individuare quelli più bravi da Chanel a Valentino (con il quale condivise la passione per il rosso) fino a Pucci, Missoni e Manolo Blahnik. Quando fu licenziata da Vogue, si reinventò come consulente per il Metropolitan Costume Institute. Morì a New York nel 1989, quando aveva ormai aveva 86 anni ed era riuscita nella sua mission impossibile: rendere la moda un ingrediente essenziale della sua Red Revolution.

 

Pasquale MusellaDiana Vreeland-Salotto Rosso

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