Henry Moore

A distanza di vent’anni dall’ultima mostra, dedicata all’artista dalla Fondazione Cini di Venezia, presso l’isola di San Giorgio Maggiore (26 agosto – 26 novembre 1995), torna in Italia l’opera di Henry Moore (Castleford, 30 luglio 1898 – Much Hadham, 31 agosto 1986). Questa volta sono le Grandi Aule delle Terme di Diocleziano di Roma a ospitare i 75 lavori esposti (sculture, disegni, acquerelli e stampe) realizzati dal maestro inglese che, partendo da un’arte figurativa, incentrata sul corpo umano e sul suo rapporto con la natura, ha sviluppato un linguaggio capace di conciliarsi con una tendenza sempre più marcata verso l’astrazione.

Figlio di un ingegnere minerario, Moore ha studiato presso il Royal College di Londra e, in parallelo, ha intensamente frequentato le sale del British Museum e del Museo di Storia Naturale. L’ammirazione per la classicità, il Rinascimento, la scultura africana e per altre plastiche di gusto esotico o primitivo, si è unita in lui alla attenzione per la purezza formale di minerali, conchiglie, ossi e fossili, finché, col primo viaggio in Francia, Spagna e Italia, nel ’25, egli maturò l’idea di un’arte che accordasse l’insieme dei suoi interessi col linguaggio delle Avanguardie, soprattutto l’Astrattismo e il Surrealismo. Fu una scelta felice, che gli fruttò, già negli anni ’40, un’ampia fama internazionale, e che lo indusse, in seguito, a concepire la scultura come dialogo fra pieni e vuoti al fine di rivelare l’essenza più intima della materia.
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La mostra (24/09/2015 – 10/01/2016), promossa dalla Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’Area archeologica di Roma, in collaborazione con la Tate Gallery londinese e l’editrice Electa, e curata da Chris Stephens e Davide Colombo, è strutturata in cinque sezioni. Una intende focalizzare l’attenzione sullo sviluppo stilistico di Moore, passato da una iniziale fase primitiva, affine all’esperienza di Jacob Epstein e Constantin Brancusi, a una ricerca sempre più ricca di elementi astratti e surreali. Un’altra presenta il rapporto con la storia contemporanea, in particolare con la II Guerra Mondiale e il periodo post-bellico. Qui i disegni acquerellati, dal tratto leggero ma chiaroscurato, si spogliano della riconoscibilità figurativa per avvicinarsi all’assolutezza di antiche rocce modellate dal tempo e dagli agenti naturali. Si tratta per lo più di schizzi eseguiti nei rifugi in cui erano state trasformate le gallerie della metropolitana durante i bombardamenti aerei su Londra.

Le sculture installate negli spazi pubblici costituiscono una terza sezione. Gli anni ’50 e ’60, hanno visto Moore impegnato nella realizzazione di opere monumentali da porre all’aperto, in linea con un modo di intendere il museo come un itinerario lungo il quale natura e cultura si incontrano e comunicano. Vi è poi uno spazio dedicato alla figura distesa,  altro celeberrimo e ricorrente motivo della produzione dell’artista. Lo spunto è il corpo umano disteso, a contatto con l’ambiente. L’immagine realistica, tuttavia, è deformata da forze assimilabili a quelle degli agenti atmosferici e perforata da buchi che la scavano per renderla più partecipe del luogo in cui è collocata. In questo modo, l’opera si inserisce nello spazio e viceversa.

A completare la nostra non manca un insieme di opere che raccontano il rapporto madre – figlio. La maternità è, qui, una forza viscerale e insondabile, che forma un tutt’uno con la natura. La madre è, per lo scultore inglese, nel contempo, una donna comune e la Grande Madre Terra, che accoglie in se stessa tutte le possibilità: ovvero è quell’immensa energia universale che consente di rifondere gli opposti quasi irrimediabilmente separati. È Lei, attraverso la mano dell’artista, a riunire in sé tradizione e innovazione, guerra e pace, natura e artificio.

Gi

ada Sbriccoli

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