Burkini tra religione e incompatibilità dell’essere

Una scheda sul costume islamico originale, marchio registrato di una ditta australiana. ANSA / CENTIMETRI
Una scheda sul costume islamico originale, marchio registrato di una ditta australiana. ANSA / CENTIMETRI

Il burkini è stato uno degli argomenti cruciali dell’estate “targata” 2016 in particolar modo ha suscitato diverse polemiche nella Francia.

Tutto ha inizio il 9 agosto 2016 (nei pressi di Marsiglia) durante un evento privato in un parco acquatico dove le donne erano invitate ad indossare questo costume da bagno che copre sia il corpo sia la testa, ma in seguito è stato annullato per le polemiche. Successivamente dopo l’ordinanza municipale che a Cannes vietava d’indossare abiti religiosi in spiaggia si è scatenata una battaglia giuridica tra il Collettivo contro l’islamofobia in Francia (Ccif) e il comune. La creazione di questo capo d‘abbigliamento è attribuita ad Aheda Zanetti (australiana di origini libanese) nel 2004 a Sidney mentre osservava la nipote che giocava a netball; la ragazzina secondo la Zanetti era in difficoltà poiché indossava il suo hijab (velo che copre la parte superiore del corpo) e la tuta. L’idea del burkini è venuto in mente pensando a quelle donne che volevano una tenuta sportiva ma soprattutto pudica dettata nello specifico dalla religione islamica. Tra il 2004 e il 2006 la Zanetti crea la sua società l’Ahiida e registrando il suo marchio inizia la commercializzazione delle sue creazioni. La creatrice sostiene che quando ha lanciato la sua attività il suo obiettivo era focalizzato essenzialmente sul fatto che le donne che indossavano il velo dovevano essere comode rispettando ciò che la religione gli ha sempre imposto. Ma la Zanetti non si aspettava questo enorme successo e ha ampliato i suoi orizzonti proponendo modelli simili al burkini che possono essere utilizzati anche da donne che vogliono proteggersi dal sole. Il burkini è più leggero di un burqa (lascia il volto scoperto) e ha due pezzi come un semplice bikini; proprio per questa caratteristica specifica questo indumento non infrange la legge sul velo integrale nei luoghi pubblici. Per giustificare il divieto in alcune zone della Francia, Belgio e anche la Germania si è definito l’utilizzo di questo costume come una sorte di pericolo per l’ordino pubblico e per un fatto di igiene. Le teorie e gli schieramenti da parte dei politici sono soprattutto favorevoli al divieto del costume da bagno poiché evidenzia l’appartenenza ad una determinata religione (quella islamica) la stessa che in questo periodo storico ha bersagliato la Francia con alcuni attacchi terroristici. Questo non è un dibattito esclusivamente francese; lo stesso primo ministro della Francia Manuel Valls si è schierato a sostegno delle amministrazioni locali che hanno messo al bando il costume per donne musulmane che copre interamente il corpo ma lascia scoperto il viso. Secondo il ministro e chi sostiene la sua teoria il burkini è l’espressione di un’ideologia basata sull’asservimento della donna, pertanto è incompatibile con i valori della Francia e della sua Repubblica. Può un semplice indumento essere identificato come simbolo di una religione che tratta la donna come un oggetto invece di essere un soggetto che ha gli stessi diritti di un essere maschile? Secondo i politici francesi la risposta è affermativa ma è pur vero che ogni religione ha i propri simboli e le proprie tradizioni e ognuno deve aver rispetto delle idee di altri anche se non sono le stesse in cui crediamo tutti. Non possiamo privare le persone di scegliere cosa indossare solo perché la religione impone alle donne musulmane di coprirsi (anche se noi lo vediamo come annullamento della figura femminile); si può non condividere ma dobbiamo essere liberi di essere ciò che vogliamo e soprattutto di seguire ciò in cui crediamo.

Noemi Deroma

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