Ferrari Trento DOC

Nelle ambasciate italiane all’estero è il “padrone di casa” nelle occasioni ufficiali, nei festeggiamenti, nei ricevimenti e nelle cene di gala. Da tanto tempo.

Forse, anche prima che il Presidente Pertini, all’epoca, si chiedesse “ma perché serviamo champagne nelle cerimonie di Stato o pubbliche italiane?”.

Ma infatti.

Perché?

Abbiamo un più che valido rappresentante italiano che è il Ferrari di Trento.

Valorizziamolo ulteriormente!

È lo stile italiano delle bollicine, metodo classico, noto e apprezzato molto anche all’estero.

Nessuna imitazione, solo “diversità”, “carattere proprio” rispetto allo champagne.

Proprio questo tocco di “personalità” è infatti stato notato e posto al centro di un apprezzato articolo del New York Times del 7 dicembre 2020 ((https://www.nytimes.com/2020/12/07/dining/drinks/wine-school-sparkling-wines.html), che ha richiamato l’originalità della produzione italiana e ha decantato la possibilità di produrre “bollicine” tanto valevoli quanto lo champagne, purché non si tenti di imitarlo. Quello che caratterizza il Ferrari dopo tutto è proprio la sua identità trentina, fortemente legata alla montagna. Ed è la montagna che dà caratteristiche peculiari ai vitigni e alle uve utilizzate nella produzione del Ferrari.

Ma come nasce “IL” Ferrari?

Il suo capostipite fu Giulio Ferrari, fondatore nel 1902, che cedette il tutto, nel 1952, a Bruno Lunelli (prima generazione). Che tramandò la tradizione ai suo figli: Franco, Gino, Mauro (seconda generazione). Poi, ai figli di quest’ultimo: Marcello, Matteo, Camilla e Alessandro (terza generazione).

https://www.foodandbev.it/2011/06/premio-bellisario-a-camilla-lunelli/

Una lunga strada, dall’inizio.

Metodo classico e tradizione, ma anche innovare rispettando le tradizioni.

Cosa significa questo?

Lo chiediamo a Camilla Lunelli, Direttrice della comunicazione e dei rapporti interni delle Cantine Ferrari, nonché Direttrice dei rapporti esterni del Gruppo Lunelli (https://www.ferraritrento.com/it/gruppo-lunelli).

Ha studiato all’Università Bocconi, che definisce una “esperienza molto positiva, sia dal punto di vista accademico che umano. Una delle prime esperienze di autonomia, poi una scuola con apertura internazionale che mi ha dato basi solide per una eventuale gestione di azienda. Laureatami ho scelto di fare consulenze per un paio d’anni prima di decidere di tornare nella mia azienda. Questo mi ha dato modo anche di realizzare il mio sogno di andare in Africa.”

L’Africa, appunto, una parentesi molto importante e formativa della sua vita, che ricorda con gioia. Nigeria per due anni e poi Uganda. Culture molto diverse, una bella palestra da cui apprendere anche molto per la gestione delle priorità.

Nel 2011 vince il Premio Bellisario, fra i 100 migliori viticoltori/ici d’Italia. Un movimento sociale che sta andando lentamente, ma finalmente nella direzione giusta: quella delle donne.

Si è così assicurata la 23esima edizione del premio, per la qualità e il valore italiano all’estero.

Come mai, quindi, dall’Africa ha deciso di rientrare in Italia?

Grazie anche alle chiamate della domenica dello zio Gino, ho deciso di tornare per occuparmi di lavorare con la mia famiglia”, confessa.

Familiarità e territorialità. Due indici importanti. I tassi di sopravvivenza delle aziende sono generalmente negativi per quanto riguarda il passaggio da una generazione all’altra, ma “noi ci siamo riusciti/e grazie alla presenza di valori condivisi e codificati. Abbiamo stilato un patto di famiglia col supporto di The European House – Ambrosetti per mettere nero su bianco una serie di regole sulle quali aderiamo tutti/e. Anche per i prossimi passaggi generazionali”.

Insomma, valori saldi e spirito di solidarietà famigliare.

Lei stessa ha sempre vissuto in prima persona l’azienda. Il padre era anche l’enologo della cantina. Da sempre è presente nella campagna e nel vigneto, soprattutto nel periodo della vendemmia, “periodo molto intenso che difficilmente si dimentica. Noi pressiamo l’uva il giorno stesso della vendemmia, quindi la sera si continua a lavorare in cantina”.

Produrre vino significa possedere competenze tecniche, capacità, impegno, conoscenze specifiche. Un linguaggio.

Ma oggi le cose stanno cambiando.

Se prima il “mondo delle bollicine” e dei vini in generale era un ambiente di e per specialisti/e, oggi si privilegia un modo di comunicare il vino che è più alla portata di tutti e tutte. C’è stato un momento in cui i professionisti del vino quasi spaventavano per un linguaggio tecnico, ora invece si cerca di mettere sempre più a proprio agio il/le cliente/i. Si, ci sono delle regole per l’abbinamento cibo-vino, ma comunque parliamo di un mondo che è piacere.”

E poi, c’è anche una “funzione sociale” della campagna e dell’azienda che Camilla Lunelli sente vicino. Quella del lavoro come mezzo per ridare dignità alle persone, specie le più bisognose.

Lei è una persona ottimista e crede che fino alla primavera/estate del 2012 la situazione non avrà miglioramenti particolari, però poi torneremo a un contesto che ci permetterà di riprendere in mano le relazioni.

Il brindare insieme è proprio il gesto per eccellenza della convivialità. C’è desiderio di tornare a stare insieme con più serenità e che la macchina economica riparta.

L’attenzione ai valori di sostenibilità sarà sempre più al centro della vita delle persone: bere meno e bere meglio.

In conclusione, e per buon auspicio, teniamo a portata di mano una bottiglia di Ferrari per festeggiare la fine di questa emergenza pandemica!

https://www.ferraritrento.com/it/

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