Trump in calo, ma basterà a Biden per batterlo?

Donald J. Trump non è lo stesso di quattro anni fa. Oggi, a quasi un mandato di distanza dall’inaspettata elezione del 2016, gli Stati Uniti d’America che il magnate newyorchese si lascia dietro sono molto diversi. E, agli occhi dei cittadini d’oltreoceano, anche lui lo è.

Fino a gennaio, ci saremmo potuti attendere che l’America di Trump venisse ricordata per le decisioni inconsulte in materia di interni ma soprattutto di esteri. Una politica estera a tratti spregiudicata, incurante delle conseguenze, e a tratti troppo tollerante degli interessi di quella Russia che a Trump è sempre stata accostata nel corso del suo mandato. Ma il 2020 ci ha regalato una serie di eventi che nessuno si sarebbe aspettato: dalla discutibile gestione della pandemia, che oggi vede un americano su cento positivo al COVID-19, alle proteste di giugno in seguito alla brutalità della polizia.

Il Presidente Trump non ha lasciato una bella immagine di sé: da fuori, l’impressione dominante è di quasi totale incuranza nei confronti del resto dell’amministrazione Usa, dei suoi consigli e delle sue prerogative, il tutto oscurato dall’ego di un “outsider” che mai avrebbe lasciato che qualcuno gli dicesse cosa fare.

Dopo quattro anni, gli inquirenti federali ancora indagano su di lui: a venire a galla, negli ultimi giorni, è l’attenzione prestata nei confronti delle dichiarazioni dei redditi del tycoon, nello specifico degli ultimi otto anni di entrate fiscali di Trump. La Camera dei rappresentanti, è stato deciso negli ultimi giorni dalla Corte suprema, potrà consultare questi documenti solo dopo il voto di novembre – onde evitare influenza sullo stesso. Ma si tratta solo dell’ultimo pezzo di un puzzle che ha visto coinvolti Vladimir Putin, membri di alto rango dell’entourage di Trump e grandi compagnie petrolifere americane e russe, tra bot e fake news: il tutto mai del tutto confermato, ma nemmeno smentito. Trump è un uomo di Putin, mandato a scatenare il caos e indebolire il diretto rivale?

Qualunque sia la verità, oggi Trump ha ridotto i propri consensi. Restano i fan irriducibili, che vedono ancora nel tycoon l’uomo giusto per rovesciare un “regime liberal” che a loro dire domina la scena politica e culturale americana, ipotesi diffusa principalmente dalla scarsa istruzione nelle aree rurali in cui risiede gran parte dei sostenitori del Presidente in carica. Al di là di questi, e complice – oltre al pessimo mandato – un consolidamento dell’alt-right attorno a figure di estrema destra più definite, è probabile che Trump non godrà, alle prossime elezioni, dell’”effetto sorpresa” (in realtà ampiamente preventivabile) che gli giovò nel 2016.

Ma basterà a Biden? Sondaggi alla mano, le premesse sono le stesse del 2016 nel confronto tra Clinton e Trump. E, come sappiamo, si rivelarono ampiamente inaccurati. I democratici non hanno scelto il candidato più carismatico né più rivoluzionario: un volto rassicurante come un altro, e forse nemmeno privo dei suoi personali altarini. Lo si è capito alle scorse elezioni: il fatto di scegliere un candidato donna alla vicepresidenza – si parla di Elizabeth Warren o Kamala Harris – non costituirà questo gran punto a favore nella mente di quegli stessi elettori che preferirono un Donald Trump accusato di molestie a Hillary Clinton. Biden dovrà fare affidamento non sugli slogan progressisti ma sulla propria figura, sul proprio programma e, soprattutto, su una buona dose di fortuna.

Foto:  Donald Trump in un’elaborazione artistica. (Charles Deluvio)

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