Roma di ieri e oggi: la «capitale malamata» di Vittorio Emiliani

«Domina, matrona, eterna, faro perenne di civiltà e di cultura per tutto il mondo, o, al contrario, ladrona, sorcona, corrotta e corruttrice». Un incipit che già da solo basterebbe a descrivere adeguatamente le vicissitudini dell’Urbe nello spazio e nel tempo. Ma il volume di Vittorio Emiliani, Roma capitale malamata, va ben oltre: le parole, scelte con cura, che accompagnano l’introduzione al libro edito da Il Mulino non costituiscono che mera anticipazione di una raccolta immensa dedicata alla Capitale, sagacemente e indissolubilmente fusa tra cronache storiche e piccoli aneddoti.

Emiliani, autodefinitosi uomo del nord ma romano adottivo per decenni, presta per tutto il volume un’estrema attenzione a bilanciare l’aspetto macroscopico e quello microscopico, alternando una linea temporale generale e fluida a un’infinità di note a margine di immenso valore. Col rischio di cadere, talvolta, in qualche digressione di troppo, ma della quale vale sempre la pena. Il risultato è una visione di Roma contemporaneamente a volo d’uccello e sotto lente d’ingrandimento, nella quale poco è omesso o omettibile.

Una mole invidiabile di informazioni sulla città che fu «caput mundi», raccolta e redatta in maniera brillante da uno dei suoi figli adottivi più affezionati. E, forse, è proprio la natura forestiera di Emiliani ad avergli concesso quell’interesse particolare verso una città così diversa, così unica, ma anche così folle e follemente vittima dei tempi – di ogni genere di tempo.

Vittima del Vaticano e della criminalità, vittima della mala gestione, vittima della Repubblica e del fascismo: la narrazione di Emiliani è puramente cronologica, certo, ma un filo conduttore tematico non è affatto arduo da individuare. Roma, ai suoi occhi, è una città realmente «malamata», ma ciò trascende i quotidiani discorsi sul degrado urbano, sulla spazzatura o la viabilità. È una ricerca che va oltre l’attualità e tenta, riuscendovi, di individuarne le ragioni in chi, Roma, non ha saputo amarla o rispettarla.

Che si tratti di ha incatenato Roma e l’abbia costretta a concubina del proprio slogan imperiale, come quel Mussolini con cui Emiliani condivide città di nascita e città nel cuore; che si tratti di chi a Roma vi è giunto o vi ha prosperato per loschi traffici o trame politiche; che si tratti di chi a Roma ha voluto affidare un compito pesantissimo, quello di Capitale politica, amministrativa e morale, ma senza darle gli strumenti per brillare un decimo della luce del passato che ancora oggi riflette.

Roma è una città meravigliosa quanto difficile, non c’è dubbio. L’essere meravigliosa le ha, probabilmente, permesso di sopravvivere ai momenti più difficili della propria storia, fra intrighi e intrallazzi, fra Stato e Chiesa, fra una fazione e l’altra; ma l’Urbe è oggi ancora lontana dal poter splendere come meriterebbe davvero. Ma come?

L’invettiva finale di Emiliani è chiara e condivisibile, e l’ultimo capitolo è quello che più di tutti fa proprio un tono politico, odierno, anziché da cronaca storica. Di chi è Roma? È del Vaticano, dei palazzinari, dell’abusivismo e delle periferie ormai prive di qualsiasi attenzione. Ciò che la città merita è un suo «regime speciale», come lo chiama Emiliani, e che si intuisce debba avere un carattere politico e socio-economico, seppur non necessariamente istituzionale. Roma è una città che non reagisce più, nemmeno alle aggressioni più gravi, e che oggi lascia che la sua identità venga assimilata con quanto di stantio, stagnante e marcio accada all’interno delle sue mura in rovina.

Come riporta una citazione del deputato Antonio Fradeletto, inserita da Emiliani all’inizio del suo volume: «Qui a Roma l’Italia non deve essere semplicemente attendata, e di malavoglia, come talvolta ne ha l’aria, ma intellettualmente e moralmente assisa».

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