Qual è la via del vento: Daniela Dawan racconta la fuga degli ebrei dalla Libia

Tripoli. 1967. Sullo sfondo degli eventi drammatici della guerra dei sei giorni tra Israele e Palestina, in Libia si consuma l’inizio di una guerra civile che non ha mai smesso di esistere. Dopo anni di convivenza pacifica e proficua per il paese intero, gli ebrei libici sono di nuovo oggetto dell’odio antisemita della comunità araba. Depredati, uccisi, costretti all’esilio. Questo è il dramma collettivo nel quale si inserisce il dramma personale della famiglia Cohen. Ruben e Virginia Cohen, con la loro figlioletta Micol, sono una famiglia benestante e importante nella società tripolina, eppure la furia del conflitto non risparmia neanche loro. È su questa vicenda che si concentra la prima parte di “Qual è la via del vento”, il nuovo libro di Daniela Dawan.

La seconda parte del romanzo, invece, è ambientata nel 2004, a quasi 40 anni dalle vicende che hanno spinto la famiglia Cohen ad abbandonare la Libia. Il governo del paese è ormai cambiato: il colonnello Gheddafi lo guida e tenta di riprendere i contatti con gli ebrei emigrati. Ecco dunque che Micol, ormai adulta, si trova a dover tornare in quella terra natale che non sente più completamente sua, ma che in realtà nasconde ancora tanti ricordi personali. Un salto temporale molto ampio, ma che permette al lettore di scoprire l’evolversi della situazione libica e della vicenda degli ebrei.

Un susseguirsi di fatti veloce ed incalzante che porta il lettore a non staccare gli occhi dalle pagine. Gli eventi storici sembrano essere in primo piano nel racconto, ma la scrittrice riesce a dare rilievo e spessore anche alle vicende personali di ognuno dei personaggi menzionati e ai loro sentimenti. Micol, piccola e timida. Il nonno Ghigo Asti, così autorevole ma allo stesso tempo affettuoso. La nonna Rachel, donna forte e con un grande senso della famiglia. L’amico di Ruben, Alì. E Leah, la figlioletta di Virginia e Ruben scomparsa prematuramente. Tutti sono abilmente descritti in modo da lasciare un’impronta indelebile nella memoria di chi legge.

E proprio la figura di Leah, la sorellina scomparsa troppo presto, rimane come un’ombra che aleggia sullo sfondo delle vicende, non abbandonando mai la narrazione. Un’assenza che sembrerebbe essere più ingombrante della presenza e che condiziona la vita della piccola Micol fin da bambina. Leah c’è, ma non si vede, soprattutto nella prima parte del romanzo. È l’argomento tabù della famiglia Cohen, è sempre presente negli sguardi tra Ruben e Virginia, ma nessuno ha il coraggio di parlarne. E questo suscita curiosità nella piccola Micol che tenta di conoscere qualcosa in più su questa sorella, ma nessuno le dice nulla. La figura di Leah viene in parte sdoganata solo nella seconda parte del libro. Quando Micol torna a Tripoli, sarà proprio quella terra a cui pensa di non appartenere più a riservarle ancora delle sorprese e dei ricordi difficili da ignorare.

“Qual è la via del vento” è un romanzo in cui etnie, tradizioni e culture si mescolano e si scontrano. Se sullo sfondo c’è lo scenario più grande del conflitto tra arabi ed ebrei, in primo piano ne troviamo altri: la diffidenza tra ebrei di origine diversa, chi più laicizzato, chi meno, lo scontro inter-generazionale tra genitori e figli, i matrimoni mal visiti tra arabi ed ebrei. Tante differenze che creano un patchwork colorato e unico e che, a volte, riescono anche ad essere superate. Nascono dunque legami di amore e amicizia, come l’affetto che lega Ruben e il suo amico d’infanzia Alì, arabo, braccio destro del re Idris, ma che sarà un aiuto fondamentale per la fuga della famiglia Cohen verso l’Italia.

Una storia di fuga e di esilio, dunque, quella raccontata dall’autrice. Una vicenda dai tratti fortemente autobiografici. Infatti, Daniela Dawan ha origini ebree ed è nata a Tripoli, città da cui è

dovuta fuggire in seguito alle persecuzioni che avvennero proprio durante la guerra dei sei giorni nel 1967. L’autrice è stata dunque una piccola Micol e ha seguito le orme della sua protagonista anche una volta sbarcata in Italia, dove è diventata avvocato penalista ed ora è Consigliere della Suprema Corte di Cassazione “per meriti insigni”.

Tra le parole dell’autrice emerge non solo il fascino per quella terra calda e rossa, ma un vero e proprio ricordo affettuoso e una nostalgia struggente di chi quei luoghi li ha vissuti veramente. Odori, sapori, rumori vengono riportati sulle pagine come se fossero il sottofondo di tutta la vicenda e, non appena l’ambientazione cambia, cambia anche il sottofondo. Agli odori forti e ai colori rossicci della Libia si sostituiscono il rumore sommesso e i colori più tenui dell’Italia. Un libro che ci riporta ad atmosfere ed eventi che sembrano lontani nel tempo e nello spazio, ma che in realtà hanno molto a che fare con la situazione geopolitica attuale della Libia e che hanno importati ripercussioni anche sul nostro paese. Un libro dunque necessario per rispolverare la memoria di eventi drammatici che hanno caratterizzato la storia della Libia e che hanno lasciato un segno indelebile sulle vicende personali di molti ebrei libici ancora alla ricerca della loro identità

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