Il Signor Covid-19 nel mondo di Chiara Gamberale Come una scrittrice ha sconfitto il lockdown

Chiara Gamberale definisce questo suo testo un quaderno col quale poter riuscire a trovare insieme un protocollo di autodifesa psicologica ed emotiva.

La Gamberale nei suoi libri ci ha abituati a trattare l’argomento amoroso, e con amore per la vita ha fatto lo stesso verso questo periodo sociale.

Chiara Gamberale ci racconta la sua vita spogliandosi dalle sue difese e mostrando le sue fragilità, per far vivere nella regione bianca di questa sua nuova narrazione quella che è stata la primavera più difficile degli ultimi anni. Senza dimenticarsi mai di soffiare amore nell’anima dei suoi lettori. Questa è la missione di Chiara Gamberale: porta amore. E ci è riuscita anche in questo difficile quaderno.

Il titolo del libro del suo ultimo libro, “Come il mare in un bicchiere”, è il verso di una poesia di un suo compagno del liceo.

Ho dato questa interpretazione: il mare rappresenta la città dove non possiamo andare a causa del virus, il bicchiere la casa dove siamo rinchiusi.

Questo concetto ci dice che infondo tutto ciò di cui abbiamo realmente bisogno è nella nostra casa, nella nostra anima, dentro la forza di quelle anime che per mesi ci han fatto dire: ”Andrà tutto bene.” Cosa ne pensa?

“Grazie, prima di tutto, per le parole che mi hai dedicato…È strano, perché io l’amore, fondamentalmente, sento di continuare disperatamente a cercarlo e l’idea di portarlo, mentre mi dispero, mi commuove e dà un senso alla mia ricerca. Poi. Il mare è anche proprio questa nostra ricerca spasmodica di amore: di assoluto. E il bicchiere è la nostra vita, mia per me e tua per te, che inevitabilmente questa ricerca la limita, la mortifica. Ma, così come è successo con le nostre case, durante il lockdown: proprio quel limite può rappresentare l’unica occasione che abbiamo per percepire la nostra forza e la nostra fragilità. E la forza e la fragilità degli altri”.

Perdere il filo del senso e i contorni che separano me dal resto del mondo”.

Con questa frase si riferisce a uno specifico argomento all’inizio del libro, ma voglio riportarla alla vita dello scrittore.

Quanto è importante quando scrive delineare un confine fra Chiara Gamberale che scrive e il mondo di Chiara, per non rimanere intrappolata nel mondo della scrittura?

“Purtroppo e per fortuna quando scrivo entro in una specie di estasi: e tutte le domande, fatalmente e finalmente, spariscono. Con loro, sparisce anche il rischio di vivere, come quello di rimanere intrappolata nella scrittura. Diventano la stessa identica cosa, la vita e la scrittura. E non ho ancora capito, dopo tanti anni, se è la benedizione o la maledizione della mia vita”

Di solito gli scrittori sono aiutati a creare grazie al mito del dolore interiore. Dice che per lei questo mito non è valido. Cosa la ispira a scrivere? .

“L’urgenza di capire. Fosse solo di dovere rinunciare a farlo”.

Un capitolo del libro inizia così: “Pensavamo di vivere sani in un mondo malato”. A parte le soluzioni ambientaliste, delle quali non siamo noi a doverci occupare, vuole darci qualche consiglio per non fare ammalare ancora di più questo mondo?

“Credo che, paradossalmente, le restrizioni a cui siamo stati, e in parte siamo, chiamati, ce ne abbiano dati e ce ne diano tanti di consigli. Il primo fra tutti: ricordarci che siamo noi a potere scegliere a che distanza stare dalle situazioni, dalle persone. E dunque anche a scegliere quanto vicino tenerci alle situazioni, alle persone”.

Quanto questa pandemia ha cambiato Chiara Gamberale e, se lo farà, il suo modo di scrivere?

“Ogni volta che rischio di cadere in un vecchio meccanismo mi dico: devi essere all’altezza di questo quaderno scritto mentre eravamo dentro. E mi sforzo di tenere fede a queste pagine. Riguardo la scrittura, confido che il raccoglimento a cui sono stata richiamata resti con me…”

Per uno scrittore l’unico rimedio all’esistenza è il rapporto con la scrittura. Quando l’ispirazione viene meno come riesce a farla tornare fra le sue mani e creare nuovi storie?

 

“Anche in questo caso devo dire: purtroppo e per fortuna. Ho più fantasia che senso della realtà. Il mio problema non è mai stato il foglio bianco, ma la falsa pista, la storia che non mi porta dove vorrei…Cioè al centro esatto di quello che mi fa male, che mi fa bene. Per riconoscere la differenza fra le due cose”.

Si immagini di avere in mano una penna e un foglio bianco. Scriva lei il primo punto del protocollo di autodifesa emotiva e psicologica.

 “Conosci te stesso”.

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