Carmela Scotti si è diplomata in pittura e fotografia all’Accademia di Belle Arti di Palermo. Ha vissuto a Palermo, a Roma, e a Milano, facendo i mestieri più diversi. Oggi vive in Brianza e collabora con i settimanali “Cronaca Vera” e “TuStyle”. L’imperfetta, il suo romanzo d’esordio è stato finalista al prestigioso premio Calvino. Con Garzanti ha pubblicato Chiedi al cielo. In questa intervista parleremo del suo romanzo La pazienza del sasso
La protagonista Argia ha scelto la cremazione per la sorella, l’opposto di ciò che la sorella Dervia aveva raccomandato. Le è mai capitato che qualcuno abbia scelto per lei qualcosa che non condivideva?
“Poche volte, e non è stato piacevole. Ricordo, per esempio, di quando i miei mi iscrissero al Liceo Scientifico mentre io avrei voluto fare il Classico, e ricordo benissimo la sensazione di essere messi con le spalle al muro, di trovare sbarrata la strada che ci si era così decisi a percorrere. Argia lo fa con Dervia, ma in questo caso, è un forzare la volontà della sorella per adempiere al desiderio della stessa di tornare nel paese natio ed essere sepolta insieme alla madre.”
Quando ha bisogno di un consiglio sa bene a chi rivolgersi?
“Diciamo che tendo a fidarmi molto del mio istinto, e il più delle volte non mi tradisce. Ascolto sempre tanti pareri, perché mi aiutano a vedere aspetti delle cose che possono sfuggirmi, ma poi è al mio istinto, che concedo l’ultima parola.”
Come si pone davanti a un rifiuto letterario?
“Io sono cintura nera di rifiuti letterari, potrei tenere corsi universitari. Ho ricevuto tantissimi no, per le ragioni più disparate, poi è arrivato il Calvino, e quell’unico sì ha sbiadito il ricordo delle delusioni del passato.”
Per lei è importante ascoltare le ragioni degli altri?
“Ascoltare le ragioni degli altri è il modo migliore per capire le proprie, per comprendere, attraverso il confronto e l’ascolto, di che natura siamo fatti, dove originano le differenze tra gli esseri umani, in che punto gli sguardi divergono talmente tanto che lo stesso oggetto, a seconda di chi lo guarda, finisce per raccontare una storia diversa.”
Lei crede, come Argia, nell’al di là?
Credo, o meglio, mi piace l’idea di credere, a tutto ciò che non posso vedere e toccare. Per questo, nei miei romanzi, ricorre spesso l’elemento del “realismo magico”, diciamo così. Ne “La pazienza del sasso”, Dervia ha un rapporto di grande “confidenza” con la morte, parla con i defunti, li evoca e ne comprende il linguaggio; e poi c’è il fantasma di una bambina, che fa capolino dalle pagine. L’invisibile è la misura della complessità del reale, del suo lato nascosto, di quel sottosuolo in cui pullula l’inspiegabile. Del resto la scrittura stessa crea continuamente fantasmi, personaggi evanescenti che vivono, amano, muoiono, senza mai esistere davvero.
Quando cade nelle “sabbie mobili del passato” come riesce a riprendersi il presente?
“In genere è il presente a riprendere me, non io a riacciuffare lui. Io non ho alcun potere sul tempo, mi piace lasciarmi condurre, sprofondare “nellesabbie mobili del passato” e restarci per tutto il tempo che è necessario per capire il presente.”
Nel libro scrive così: ”Gli specchi distorti della memoria”. Le è mai capitato di essere stata tradita dalla memoria? Di aver avuto un ricordo falsato di un avvenimento?
“Sempre! La memoria tende ad essere colma di pietas nei confronti di noi esseri umani, addolcisce i ricordi, smussa gli spigoli, ci carezza con degli inganni che ci consentono di sopravvivere agli assalti del passato. Proprio sulla memoria e sui ricordi sto lavorando per il mio prossimo romanzo: su quanto i ricordi possano anche essere “manipolati”, su quanto sia grande l’abisso tra “fatti” e “verità”.”
Ha mai avuto nel contesto scolastico problemi di bullismo?
“Diciamo che quando andavo a scuola io non c’era ancora lo strapotere dei social ad amplificare tutto, a rendere il campo delle relazioni tra i ragazzi una giungla piena di trappole, anche se, naturalmente, il bullismo esisteva e trovava mille strade per fare danni. In ogni caso, la mia completa e convinta “asocialità” mi ha tenuta al riparo da ogni pericolo.”
Come difende il momento creativo, la fantasia, dalle distrazioni esterne?
“Chiudendomi in una stanza, in silenzio, in ascolto di quanto di buono arriverà.”
Quale rapporto ha con la scrittura? Scrive ogni giorno?
“Ogni giorno, ahimè, non è possibile, anche se sarebbe la condizione creativa ideale. Diciamo quasi ogni giorno, costringendomi, quando non ne ho voglia, buttando giù almeno tre pagine buone, se voglio considerare messa a frutto la mia giornata. Ho sempre considerato la scrittura una madretirannica, che pretende tutta la tua attenzione e non tollera distrazioni. Se non le stai dietro, ti ritrovi poi arrugginita, fai una enorme fatica a ritrovare il contatto con la pagina, e capisci che questo è il modo che la scrittura trova per punirti di averla trascurata troppo a lungo.”
Lei ha un suo luogo della scrittura?
“Qualunque luogo in cui ci sia silenzio.”
Ci spiega la genesi del titolo?
“Il titolo fa riferimento a una espressione usata da Argia, che parla, riferendosi a sé stessa, della “pazienza del sasso”, quella che mette in atto nei confronti della sorella Dervia aspettando il momento giusto per colpirla, per ribadire, ancora una volta, l’astio che sente per lei. In questa staticità che le blocca le azioni, Argia vive gran parte della sua vita, e dunque mi sembrava che l’espressione rendesse bene lo stato d’animo della protagonista, questa immobilità forzata che può declinarsi anche come “pazienza”.”