I Paesi – Spagna e Portogallo, la sinistra che vince

Spagna e Portogallo spiccano per l’impronta prettamente di sinistra dei propri governi, dimostrando così di poter avere un ruolo decisivo nel futuro dell’Unione europea. Se da un lato le elezioni spagnole dello scorso aprile hanno visto la chiara vittoria dei socialisti di Pedro Sànchez, dall’altro il governo portoghese del socialista António Costa è riuscito a riportare credibilità al Paese, abbassando il deficit pubblico e rassicurando i propri investitori e partner europei.

La Spagna punta a diventare la terza forza in Ue La Spagna, dopo la vittoria di Sànchez, ha l’opportunità di diventare il migliore alleato in Europa di Francia e Germania. Con la Gran Bretagna prossima ad uscire dall’Ue e l’Italia che, rappresentata dal proprio governo giallo-verde, è diventata una delle voci più euro-scettiche del panorama europeo, la Spagna non ha intenzione di lasciarsi sfuggire la possibilità di aumentare il proprio peso politico e di influenzare il futuro dell’Europa.

Sebbene la maggioranza dei votanti abbia espresso una posizione favorevole alle politiche Ue, non mancano posizioni più euro-scettiche: Vox, il partito di destra radicale, punta nelle elezioni europee a svolgere un ruolo da apripista per i movimenti sovranisti degli altri Paesi, forte del risultato ottenuto nelle elezioni spagnole. È infatti la prima volta dopo la caduta del regime di Francisco Franco che una forza di estrema destra riesce ad entrare in Parlamento. A ciò si aggiunge il complesso problema della Catalogna: proprio in questi giorni la Corte Suprema di Madrid ha stabilito che Carles Puigdemont, ex-presidente della regione e candidato del partito indipendentista catalano, e altri due deputati della stessa fazione politica, Antoni Comìn e Clara Ponsatì, potranno candidarsi alle elezioni europee. I tre sono attualmente in auto-esilio tra Belgio e Scozia, fuggiti dalla Spagna in seguito al mandato d’arresto dovuto all’organizzazione del referendum separatista, considerato incostituzionale, e alla successiva dichiarazione di indipendenza della Catalogna del 2017.

Il Portogallo come modello di crescita economica Il Portogallo, partendo nel 2012 con un deficit pubblico pari all’11% del Pil (prodotto interno lordo), è riuscito in questi sette anni a ridurlo allo 0.5%, livello più basso dalla fine della dittatura di Salazar. Ad oggi il Paese cresce dell’1,7%, più dell’1.1% della Germania.

Dal 2015 ad oggi alla guida del paese vi è il primo ministro Costa, leader del Partito Socialista, salito al governo tramite un’alleanza che a suo tempo fu soprannominata geringoça (che significa accozzaglia). Nonostante la diffidenza nei confronti di tale governo, una politica di tagli e risparmi ha permesso di ridurre il deficit, recuperando credibilità nei confronti dell’Ue.

Il successo del governo Costa deriva anche dalla messa in atto di politiche di sinistra tra cui l’aumento delle pensioni, i tagli di tasse, l’aumento dei salari minimi e la lotta per i diritti civili.

Per ottenere tali risultati, il governo ha dovuto tagliare in modo massiccio gli investimenti su infrastrutture e beni pubblici; in questo modo però il Portogallo rischia di avere seri problemi con la crescita economica del Paese sul lungo termine.

Per le elezioni europee di fine mese, la campagna elettorale dei partiti portoghesi ha visto crescere il dibattito politico riguardo temi sostanzialmente incentrati su questioni economiche ed ambientali, considerando invece secondari temi come l’immigrazione.

I due Paesi della penisola iberica sono così pronti a ricoprire nel nuovo assetto parlamentare europeo un ruolo sempre più importante, sostenendosi tra di loro in nome della comune appartenenza politica.

Giuseppe Boccardi, Francesca D’Eusebio, Emanuela Pileggi, Claudia Torrisi

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