“YERMA” , LA MATERNITA’ COME RICERCA DELLA PROPRIA IDENTITA’

 

Dal 29 marzo al 3 aprile 2016 al Teatro Vascello di Roma va in scena “Yerma” spettacolo prodotto da Andrea Schiavo | H501 srl insieme a La Fabbrica dell’attore – Teatro Vascello, tratto dall’omonima opera teatrale di Federico Garcia Lorca, con la regia di Gianluca Merolli e la traduzione e l’adattamento di Roberto Scarpetti. Yerma, interpretata da Elena Arvigo, è l’eroina protagonista che dà il nome all’opera, il cui significato letterale in spagnolo rimanda immediatamente ai concetti di “deserto” e “sterilità”. Ed è caratterizzato proprio dalla solitudine e dall’aridità il mondo di Yerma, come anche la ristretta ma variegata comunità in cui vive la donna, che desidera a tutti i costi avere un figlio dal marito e che, quando scoprirà che lui non condivide il suo stesso desiderio, cadrà in un vortice di ossessione e dolore che culminerà in un gesto estremo.
Quest’ opera di Garcia Lorca scritta nel 1934 e pubblicata nel 1937, dimostra una grande attualità: in essa l’autore andaluso sembra anticipare le domande più recenti sulla bioetica e sul diritto alla procreazione, inserendosi a pieno titolo nell’attuale dibattito sulla procreazione assistita e sul diritto alla genitorialita’, con una posizione moderna e assolutamente laica.

 

Note di regia.

Più che un testo teatrale, sembra una favola nera, una storia torbida di vittime e sciacalli, dove le vittime e gli sciacalli si scambiano i ruoli regolarmente.

Yerma. Un equilibrio perfetto basato sull’autosufficienza degli archetipi umani, che si stagliano nella storia come presenze necessarie, che si alternano nella trama a volte da protagonisti, a volte da semplici messaggeri. Qui non abbiamo di fronte Maria, Juan o Victor, ma lo Sposo, la Sposa, l’Amante, la Vecchia… E non dialogano, ciascuno immerso nella propria solitudine, nella propria aridità. Non solo una presunta sterile, Yerma, che ha fatto del desiderio d’avere un figlio la sua ossessione, ma un mondo di persone che non sanno più toccarsi, arsi e infecondi.

Questo ha reso ai miei occhi il testo così interessante. Mi sembra che il decadentismo e il senso di sconfitta dell’autore sia diventato quello dei personaggi, e che questo ripiegarsi in se stessi dei personaggi, la loro urgenza di darsi un senso, sia facilmente riconducibile al mio, al nostro.

E già, viene il giorno in cui si fanno i conti con cosa resterà di noi, con quello che abbiamo saputo costruire, per poi poterlo donare e abbandonare. Inevitabilmente si omaggia il materno e la sua eredità.

La madre, l’attesa, l’autorità. Cosa resta della madre quando si diventa madri? O perché non lo si diventa mai? Perché spesso resta sopito quel desiderio che pure sembra lecito, obbligato e che invece a volte fa paura? Quell’istinto di generare così diverso nell’uomo e nella donna, forse semplicemente non esiste? Qui si scontrano la possibilità recente

di autodeterminazione, con l’antica dipendenza tra uomo e donna. L’autore sembra anticipare le domande più recenti sulla bioetica e sulla procreazione, con una posizione assolutamente laica.

Il testo, uno dei meno praticati di Lorca, vola altissimo facendosi forte di una stretta dicotomia tra verso e prosa, in una lingua asciutta, viva, concreta. C’è qualcosa di ieratico nel testo, qualcosa che ricorda lo

“E’ così.” Come se si aspettasse il figlio di Dio, un figlio che porti grazia e speranza, che ci riconcili con l’assoluto, che ci renda immortali perché dia continuità alla nostra discendenza.

Senza considerare che il solo amare fino in fondo sarebbe già sufficiente.

E tutto intorno l’ignoranza e il pensiero comune che bloccano la conoscenza, il dialogo e la vita stessa; quel pensiero comune che accontenta tutti, tranne Yerma.

Quanto dolore nelle pagine di Lorca?

La forza ci vorrebbe, per gridare ciò che non si vuole essere, dire, agire. Per gridare chi si vuole seguire, dove si vuole fuggire. Il volere. Questo bisogno disperato di entrare nel corpo di un altro, di dare vita, di riceverne. In questo mondo prosciugato di desiderio, di calore umano, ci siamo bevuti tutto ed ora non si beve più. Non si piscia più, non si eiacula più. Non c’è rimasto che il nostro corpo e un posto nel mondo da occupare e rivendicare. Pochi i fortunati, mai a vista. Tanti i disperati, tutti esposti al pubblico ludibrio.

Alla mamma e alla madre.

La madre dei bambini, dei non nati, dei bastardi e degli stranieri.

Alla mamma dei silenzi.

Alla madre dei padri. I padri che non vogliono esserlo e di quelli che non

l’hanno avuto e di quelli che l’avrebbero voluto diverso.

Alla madre che verrà.

A mia madre. Gianluca Merolli

 

STAGIONE TEATRALE 2015-2016

Teatro Vascello

sala Giancarlo Nanni

PRIMA NAZIONALE

 

dal 29 marzo al 3 aprile 2016  prosa

dal martedì al sabato h 21 domenica h 18

YERMA

di Federico Garcia Lorca

Regia: Gianluca Merolli

Traduzione e adattamento: Roberto Scarpetti

Attori: Elena Arvigo, Enzo Curcurù, Gianluca Merolli, Giulia Maulucci e

Maurizio Rippa

Scene: Alessandro Di Cola

Costumi: Claudio Di Gennaro

Musiche: Luca Longobardi

Movimenti Luca Ventura

luci Pietro Sperduti

Foto Fabio Gattosasasad

Biglietteria:

Intero € 20,00
Ridotto over 65 € 15,00
Ridotto studenti € 12,00 e gruppi di un minimo di 10 persone, i biglietti per i gruppi devono essere ritirati un giorno prima da un capogruppo
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