Talvolta il caso, un incontro inatteso, fa di uno sconosciuto un personaggio destinato ad attraversare il tempo. L’esempio certo più celebre è quello della bella Monna Lisa che Leonardo ha consegnato al mondo.
A essere consegnata all’immaginario collettivo, nel caso di Van Gogh, è un’intera famiglia: padre, madre e i tre figli. Di certo non personaggi della bella società ma un semplice postino, il signor Roulin, con una moglie, casalinga, due giovani figli, cui nell’estate del 1888 si aggiunse una neonata. Dei “signori nessuno”, si direbbe oggi, che però ebbero la ventura di incontrare Van Gogh e di colpirlo profondamente, proprio perché famiglia, quella che a lui profondamente mancava.
Anche i visitatori della grande mostra al San Gaetano avranno la possibilità di conoscere il celebre Postino, la moglie (la cosiddetta Berceuse) e il primo figlio, e la storia del loro rapporto con Van Gogh. Il ritratto del capofamiglia, Joseph, quasi fluorescente nel suo giallo assoluto; con un fondo tutto fiorito quello della moglie; meraviglioso, e come di presentazione su una soglia, quello del giovane Armand. I due ritratti maschili tra l’altro realizzati nel tempo in cui Gauguin abitava nella Casa Gialla.
“L’uomo è un ardente repubblicano e un socialista, ragiona bene e sa molte cose”, scriveva Van Gogh in una lettera a proposito del cosiddetto postino Roulin, che in realtà era impiegato come “smistatore della posta” nella stazione ferroviaria di Arles. Quella stazione dove Vincent potrebbe averlo conosciuto nei tanti momenti in cui andava a consegnare le sue lettere da spedire. Piuttosto che nel Café de la Gare dei coniugi Ginoux, visto che Joseph-Etienne Roulin era “un grande bevitore”, al pari di uno dei miti di Vincent, il pittore marsigliese Adolphe Monticelli.
La conoscenza tra l’Olandese e Roulin si trasformò presto in vera amicizia, che si espresse anche in una autentica vicinanza di Joseph a Vincent nelle difficili settimane tra fine 1888 e inizio 1889, in occasione del ricovero in ospedale in seguito all’auto mutilazione dell’orecchio. Un senso di grande malinconia prese Van Gogh quando Roulin fu trasferito a Marsiglia, prima della fine di gennaio del 1889. Il rapporto continuò in forma epistolare, anche quando l’artista si fece ricoverare nella casa di cura a Saint-Rémy.
Da questa conoscenza nacquero ben venticinque tra dipinti e disegni, facendo così diventare i membri di quella famiglia i volti maggiormente raffigurati in tutta la sua opera. Con un sola eccezione, il suo volto, che portò a quasi quaranta autoritratti.
“Van Gogh ebbe per i Roulin – sottolinea Marco Goldin – certamente un pensiero unitario, che poi sviluppò nei singoli ritratti, ognuno dei quali conta almeno su una doppia versione, se non molte di più se pensiamo a Joseph e a sua moglie. Van Gogh si dimostrò interessato all’uso di colori di forte impronta sulla tela, assoggettati al contrasto tra i complementari di modo da offrire quella sua sempre inesausta espressività del colore. Un colore mai inutile e mai banale, ma ogni giorno, ogni ora, necessitato. Un tipo di ritratto un po’ alla Daumier, pittore che Van Gogh stimava molto per la sua capacità di andare oltre la fisionomia delle persone e catturare l’essenza di un volto”.
I tre ritratti dei Roulin saranno al San Gaetano di Padova, dal 10 ottobre, nella mostra “Van Gogh. I colori della vita”, promossa da Linea d’ombra e dal Comune di Padova, main sponsor Gruppo Baccini, con la curatela di Marco Goldin.
Info: www.lineadombra.it