TUTTO QUELLO CHE SO DEL GRANO

Arriva al Teatro Ridotto di Bologna giovedì 20 aprile (ore 21) il Teatro delle Ariette con “Tutto quello che so del grano” ultima creazione di Paola Berselli e Stefano Pasquini, anche in scena insieme a Maurizio Ferraresi, regia di Stefano Pasquini.

Una focaccia, una lettera, un uomo e una donna, che vivono insieme da più di trent’anni, coltivano la terra, allevano animali e fanno teatro: questi i soggetti del nuovo lavoro della Compagnia. Forse la sera prima hanno litigato. Per questo l’uomo si sveglia presto e impasta una focaccia per lei, con la farina del grano che hanno coltivato. È da venticinque anni che seminano il grano insieme, così lui decide, nelle pause, tra una lievitazione e l’altra, di scriverle una lettera, una sorta di testamento, per dirle tutto quello che sa del grano, tutto quello che crede di avere imparato o pensa di avere capito. Scrive per lei, perché è un’attrice, per regalarle un monologo così bello da vincere tutti i premi e avere un grande successo, perché lei possa leggere e dire le sue parole di fronte agli spettatori e lui possa, nascosto tra loro, ascoltarle, pronunciate dalla sua voce, ogni sera, per sempre.

L’intenso racconto del proprio vissuto tra crisi e rinascite, del teatro che si radica alla terra e alle sue leggi, diventa condivisione di un’idea di storia come inizio, del cibo come relazione umana, esperienza dei riti della civiltà contadina, che possono rivivere oggi nel rito del teatro e dove il grano non è altro che simbolo della vita, del futuro e del ritorno all’origine.

Un percorso di ricerca verso un teatro umano e necessario, civile e poetico.

‹‹Tutto quello che so può essere niente – scrive il Teatro delle Ariette quest’anno giunto al suo ventennale di attività – E il grano? Alle soglie dei sessant’anni, qualcosa devi pure avere imparato, qualcosa devi sapere, e questo qualcosa non puoi tenerlo per te, perché fai teatro, perché sei un’attrice “Tutto quello che so del grano” è una sorta di pausa, una meditazione collettiva su quello che sappiamo di noi stessi, dei nostri simili e della terra che abitiamo. Quel “sapere” che cerchiamo, che vogliamo ascoltare e raccontare, non è solo un sapere scientifico. Cerchiamo piuttosto di condividere un sapere intuitivo e sentimentale, che appartiene al campo dell’esperienza materiale: i ricordi, le emozioni, i sentimenti, la farina, l’acqua, il pane e il vino››.

 

Teatro Ridotto – Bologna

Giovedì 20 aprile 2017 ore 21

[Via Marco Emilio Lepido, 255 – Lavino di Mezzo]

Stagione 2016.2017

Teatro delle Ariette

presenta

di Paola Berselli e Stefano Pasquini

con Paola Berselli, Maurizio Ferraresi, Stefano Pasquini

scenografia e costumi Teatro delle Ariette

luci e audio Massimo Nardinocchi

video Stefano Massari

regia Stefano Pasquini

Agli spettatori è richiesto di portare una focaccia, una pizza o un pezzo di pane.

Informazioni e prenotazioni

 

 

segreteria organizzativa Irene Bartolini

comunicazione e ufficio stampa Raffaella Ilari

→Link trailer http://www.teatrodelleariette.it/spettacoli-grano-promo.html →Link sito http://www.teatrodelleariette.it/spettacoli-grano.html

Informazioni Teatro delle Ariette

Via Rio Marzatore 2781 loc. Castello di Serravalle, 40053 Valsamoggia (BO)

tel e fax +39.051.6704373 info@teatrodelleariette.it – www.teatrodelleariette.it

Ufficio Stampa e comunicazione

Raffaella Ilari, mob. +39.333.4301603 email raffaella.ilari@gmail.com

TUTTO QUELLO CHE SO DEL GRANO

Estratti Stampa

[…] Tutto quello che so del grano è un antidoto alla fretta. Mentre lo spettacolo va in scena, mentre i protagonisti mimano gesti lenti, fatti di storia e abitudine trasmessa di generazione in generazione, cuoce nel forno la focaccia, impastata sul grande tavolo al centro del palcoscenico. Una focaccia fatta con il grano coltivato nei campi zappati da Stefano, raccolto e portato al mulino per essere macinato. […] Il pane, il grano non passano “di moda” (anche se per qualcuno non sono più “interessanti” e possono essere soppiantati da altri più moderni cereali), così come i sentimenti. Non esiste la ricetta per cucinare la focaccia perfetta o il pane migliore, così come non esiste la ricetta per mantenere viva e felice una relazione: bisogna prendersi cura della persona con la quale si vive, bisogna mettere cura nella preparazione. Attraverso la cucina può esprimersi questa cura, che implica a volte anche la perdita di tempo, o meglio la riappropriazione di momenti per volersi bene e voler bene.

Tutto quello che so del grano esprime con forza un ritorno alla sincerità, ad una semplicità che non è mai banale, ma essenziale, a valori che non sono universali, ma estremamente personali e che, proprio per questo, richiedono tempo e pensiero per essere individuati e coltivati. […] In poco meno di un’ora e mezza Stefano, Paola e Maurizio Ferraresi (muto accompagnatore di scena), raccontano tutto questo e nel pubblico ciascuno evoca il suo racconto: la nostra casa d’infanzia, la lettera a cui non abbiamo risposto o che non abbiamo spedito, il sapore del pranzo della domenica a casa dei nonni, il tempo perso nel migliore dei modi, rivendicandolo per noi e per la persona amata soltanto. Nessuna “verità” viene rivelata e quando cala il sipario si condivide un pezzo della focaccia cucinata in scena, il pane, i dolci che gli spettatori sono stati invitati a portare per la serata. Non si va subito a casa dopo l’applauso, si rompe la finzione scenica e attori e pubblico si mescolano: non c’è spazio per la fretta e ognuno può prendersi il suo tempo. Qualcuno saluta ed esce, qualcuno si ferma a chiacchierare, qualcuno prende la focaccia e si siede nuovamente per commentare quanto ha appena visto. E nella sua semplicità il senso è forse proprio questo. Caterina Bonetti, www.glistatigenerali.com, 6 novembre 2016

[…] Ci sono ben più di vent’anni in questa nuova creazione della compagnia emiliana, c’è una vita intera, c’è un percorso che abbraccia le memorie di un’esistenza in continuo dialogo tra poesia e trattori. Nutrimento primario di questo viaggio è l’autobiografia, radice fruttuosa che plasma lo spettacolo in una sorta di rito agreste. Abolita ogni separazione tra scena e pubblico, il Teatro delle Ariette immerge lo spettatore in un ambiente conviviale, cifra stilistica di tutta la loro ricerca, per abbandonarsi in una appassionata saga familiare, che dai più lontani ricordi d’infanzia fino al presente ripercorre tappe, difficoltà, rimpianti e nostalgie di un magico connubio tra saperi antichi come il teatro e il lavoro rurale. È il grano stesso, insieme alla rugiada e alla nebbia, a scrivere la drammaturgia di uno spettacolo che sembrerebbe quasi sussurrato attorno al tepore di un caminetto accesso.

In un’epoca in cui anche solo il concedersi una passeggiata in campagna appare a molti come un privilegio, Pasquini e Berselli, insieme all’amico Maurizio Ferraresi, ci insegnano che l’arte, il fare arte, è indissolubile dall’esperienza materiale, che una staccionata da riparare o l’aratro mentre dissoda la terra sono fonti preziose per una regia teatrale, perché “si dice che il teatro non è la vita, ma un’ora e mezza dello spettacolo è vita” […] La ricetta di “Tutto quello che so del grano” si basa sostanzialmente sulla narrazione più schietta e sincera, sulla sedimentazione organica di un vissuto e la sua urgenza di essere rivelato, senza per questo accantonare le istanze del presente. C’è tutta la grazia e la seduzione dell’artigianato teatrale, uniti ai tempi e alle dinamiche di una orchestrazione consapevole delle tendenze attuali: è come ascoltare i racconti della nonna con il blues di Tom Waits come accompagnamento, autore del resto amatissimo e onnipresente nelle opere del duo bolognese. Paradossalmente, quello delle Ariette è un teatro sperimentale, un teatro che fruga nel contatto diretto col pubblico, condividendone umori e partecipazione; dovendosi confrontare con un ambito teatrale che tende sempre più a tenere alla larga lo spettatore, o semmai ad attrarlo con strategici ammiccamenti, questo teatro estende invece la piena cittadinanza a chi è oltre la quarta

parete, usufruendo della condivisione per inseminare senza pregiudizi i linguaggi creativi, che poi restituiscono in scena. Andrea Alfieri, www.klpteatro.it, 23 novembre 2016

[…] Ci sono, infatti, una drammaturgia e una regia forti, che definiscono con precisione i tempi delle azioni ma che nello stesso momento riescono ad abbattere la quarta parete, co-involgendo in modo empatico i presenti. E’ qui che davvero il teatro diventa uno dialogo in ascolto del mondo, dove dialogo è da intendersi profondamente: mettere in comune il logos che è tanto oltre che parola; è anche relazione, legame, studio, causa, ragionamento, ragione. Stefano Pasquini e Paola Berselli con il loro spettacolo dialogano, in questo senso, profondamente. L’intenzione di con-dividere un pensiero su ciò che sappiamo di noi, attraverso il passaggio inevitabile (come passare del grano attraverso l’imbuto di un mulino instabile) sul passato, si realizza pienamente. Rendono il triplice piano di lettura accessibile anche ai non addetti ai lavori, grazie ad un linguaggio semplice, ma non semplicistico, non basso. Così come non c’è nulla di semplice nel fare una focaccia: in fondo, è vero, è solo farina, acqua, sale, lievito e olio, ma se non si è bravi abbastanza nell’impastare gli ingredienti, se non si ha la pazienza di aspettare la lievitazione e se non si sa sentire il profumo che esce dal forno che dice ‘è pronta’…la focaccia-spettacolo non sarà buona come quello proposta dal Teatro delle Ariette […] Sarebbe tutto molto più facile se chi scrive, chi sale sul palco e chi è seduto di fronte ad esso si accontentassero di maschere ma tradirebbe la sua funzione: far riflettere la società su se stessa. C’è ancora chi ha intenzione di resistere, nonostante la fatica (soprattutto economica) nel portare avanti i progetti, e c’è ancora chi ha volontà di ritagliarsi uno spazio altro per riflettere attraverso l’arte. Tutto ciò che so del grano rispetta in modo professionale e profondamente umano le sue intenzioni più profonde. E questo lo spettatore lo ha compreso: molti gli occhi lucidi alla fine. Serena Falconieri, www.rumorscena.com, 8 novembre 2016

[…] Quest’ultimo lavoro del Teatro delle Ariette chiama in causa argomenti sostanziosi e li offre con estrema semplicità. Si parla di amore, di cose felici e di difficoltà, di tradizione ma anche di tendenze contemporanee (col buffo dialogo al mulino dei due coniugi che parlano di vegetarianesimo e di macinatura a pietra, dell’attitudine al divorzio e della loro vita insieme), si parla di teatro, di vita e di morte e lo si fa con la stessa genuinità di quando si racconta come si fa il pane.

Francesca Di Fazio, paneacquaculture.net, 11 novembre 2016

Forse davvero stare insieme è già di per sé un’opera d’arte. Forse non è eccessivo pensare che amarsi e, soprattutto, comprendersi è una impresa teatrale di grande portata (senza velleità ironica). Viene da chiederselo, a più riprese, guardando lo spettacolo “Tutto quello che so del grano” di Paola Berselli e Stefano Pasquini, gli attori-contadini che, insieme all’amico Maurizio Ferraresi, costituiscono il nucleo artistico del Teatro delle Ariette, realtà teatrale hors-catégorie sorta vent’anni fa nell’omonima azienda agricola Le Ariette, vicino Bologna. Teatro e vita si mescolano, si fondono, s’impastano in un amalgama che sa di sentimenti e valori autentici, di profumi, colori, luci, sapori che esulano dal mero racconto autobiografico per comporre, con grazia poetica, un quadro di ricordi da cui ognuno può attingere qualcosa per sé, riconoscere una traccia, un volto, una immagine del proprio vissuto. Sono pochi e semplici gli ingredienti che servono per questa ricetta creativa. Ma, come spesso accade, è proprio in questa semplicità, sempre più rara da trovare (anche a teatro), che risiede la bontà, la bellezza, la riuscita […] “Quello che so del grano è che questa focaccia l’ho fatta per te” cita l’ultima battuta. Noi non possiamo che essere grati per quanto ci viene offerto, per questo momento di teatro intimo, prezioso e benefico, per le parole intrecciate con tanta cura e delicatezza, come un ricamo antico, per averci coinvolti in quella sorta di gioiosa danza cerimoniale delle stagioni (a mimare con le mani i gesti coreografati della Season March di Pina Bausch) e per il cibo fragrante assaporato, insieme, nel bel momento conviviale a fine spettacolo. Per nutrire lo spirito e così pure il corpo. Francesca Ferrari, www.teatropoli.it, 6 novembre 2016

[…] Sempre sulla traccia dell’autobiografia che diventa storia, storia vera e credibile perché vissuta, sta Tutto quello che so del grano del Teatro delle Ariette: un bilancio di una vita passata tra campagna e teatro, dopo le delusioni della politica, a scoprire un mondo nuovo, fatto di animali, di cose coltivate e raccolte, di silenzio e di nuove possibilità di relazioni, ad attraversare crisi, occultarsi, oscurarsi e rifiorire, proprio come il seme che si interra tra le zolle, proprio come il cibo, essenziale e superfluo, oggetto di dissennato consumo, indispensabile nutrimento, momento insostituibile di relazione umana. Le Ariette si raccontano per scoprire, quasi fino a scorticarsi: senza paura di parlare di amore, di vecchiaia che avanza anche per la generazione forever young, di incomprensioni, di fantasmi, di cose e persone che sembrano per sempre svanite, memorie abbandonate che vogliono rivivere. Molto bello. Molto intenso. Massimo Marino, www.doppiozero.com, 25 agosto 2016

Il Teatro delle Ariette torna nel bosco psichiatrico alla periferia di Milano per tirare le somme di una carriera lunga e fruttuosa in cui vita e lavoro si sono fuse indissolubilmente insieme, contaminandosi a vicenda. Con questo secondo studio nato dalla necessità di restituire al pubblico tutte le nozioni apprese durante un vissuto fatto di «momenti intensi», il trio agreste intraprende un percorso di ricerca incentrato sul senso stesso di tutte le azioni, piccole e grandi, che li hanno condotti, negli anni, fino a qui.

Semina, mietitura, battitura e macinazione, quattro atti dolcemente pastorali che si riflettono nelle altrettante lettere dedicate dal Pasquini alla Berselli in seguito a una rottura, una crepa nella superficie piana della loro esistenza di coppia. Il processo creativo (in tutti i sensi) viene quindi paragonato alla trafila agricola per produrre il grano che, da esperienza personale quale è per i due attori-braccianti, «diventa, nel tempo di una sera, evento teatrale collettivo» […] Annullando qualsiasi divisione tra attore e pubblico, il duo dichiara allora il proprio intento e inscena una performance di difficile classificazione. Tra canzoni waitsiane, danze druidiche e momenti culinari, Tutto quello che so del grano sembra a tutti gli effetti un messaggio d’addio al passato, ai tempi andati, a una convivenza con la natura perduta, forse, irrimediabilmente («avremmo sempre potuto fare di più, fare meglio, fare prima»). […] Si tratta quindi di una presa di coscienza al contempo umana e artistica, confermata anche da scelte registiche già proposte in passato, che fanno delle Ariette una realtà sui generis oramai classica.

Francesco Chiaro, teatro.persinsala.it, 7 luglio 2016

Inchiodati sul confine tra la resa e la voglia di trovare uno slancio, indecisi su cosa fare delle nostre vite e della nostra fiducia, su cosa pensare e sentire – se sia meglio vivere liberi o in coppia, se la carne faccia male o no, se convenga crescere i figli in campagna o in città, se sia bene leggergli solo favole gender friendly, se il biologico sia poco meno di una truffa, se l’arte e la storia siano morte col romanticismo o meno, se abbia ragione Heidegger o Bloch, se sia meglio il manicheismo o il relativismo, se il teatro sia parola, gesto, o tutte e due, o nessuna delle due… – guardiamo Stefano, Paola e Maurizio che in scena impastano, cuociono, tagliano, servono, mentre raccontano la loro biografia di uomini donne e artisti, dandoci la sensazione che sappiano esattamente cosa stanno facendo con le mani, e che qualsiasi cosa uscirà dal forno o dai pentoloni sarà sicuramente, incontrovertibilmente, straordinariamente squisito e sano. E noi li guardiamo, appunto, come profeti di una vita e di un teatro pieni di altissima dignità: per il pubblico sanno di buono, di naturale, di salutare, di emozionante, di santo, di verissimo, per gli addetti ai lavori di un aggiornato teatro popolare di ricerca […]

Le Ariette, dal canto loro, avanti anni luce rispetto al nostro immaginario da mulino bianco e alle nostre strategie da spettatori o da impresari – ma sempre gentili come i veri saggi con i nostri limiti – mentre impastano e raccontano e profondono fascino in tutte quelle cose di cui qualcuno si è preso personalmente cura e che saranno destinate a durare, ad avere una storia (così, senza neanche sfiorare l’argomento, ci fanno venire voglia di indossare un cappotto di lana invece che un piumino in poliestere, e di mangiare nei piatti di ceramica invece che in quelli di plastica), ci conducono ben lontano dal mulino che vorrei, dritti nel loro e nel nostro soffrire, a colloquio con le ombre, la tristezza nera e la nostalgia di felicità che ci portiamo nel cuore nel dubbio atroce che sia tutto inutile: il teatro, il corredo ricamato a mano, la vita […] Rossella Menna, www.doppiozero.com, 30 marzo 2016

Noi cittadini del grano non sappiamo proprio niente, ignoriamo o diamo per scontato, tra Mulino Bianco e intolleranze al glutine. Pare improvvisamente divenuto un nemico, il grano […]

Le Ariette, Paola, Stefano, Maurizio, lo conoscono bene il frumento come se in Tutto quello che so del grano umilmente si piegassero davanti al mistero, alla fantasia del creato in una preghiera laica che sa di alchimia e fascinazione, di costruzione e trasformazione, di divenire e di attesa, di pazienza e contemplazione. […] Le Ariette rispettano i tempi, le fasi, le stagioni, rispettano i silenzi e la fatica, rispettano le persone, quella grande comunità che in questi venticinque anni è cresciuta e si è accoccolata dolce attorno a loro, alla loro semplicità, poetica e di lavoro pesante, piena di pathos ma anche ancorata rigidamente alle fondamenta della terra, alle radici che sondano e tengono, alle foglie spazzate dal vento, alle cortecce bitorzolute dove è piacevole passarci il palmo della mano e sentire il brivido dell’irto, il graffio, il solco delle spine. […]

Un grande racconto d’amore, in definitiva, dove la commozione fa da spartitraffico e cuscino dove immergere la testa proteggendola, in forma di missive, di lettere scritte a mano come una volta, dove la calligrafia è segno e disegno e stato d’animo e stile e carattere, che piega e affonda il foglio, anch’esso figlio e prodotto dell’albero. Lettere d’amore che sono pezzi di ricordi e sogni, di nostalgie e desideri, passaggi e sentieri, percorsi di vita, scambiata, diffusa come acqua ad irrigare, pioggia a ristorare. […] Le Ariette sono disarmate, le loro storie toccanti ma non lacrimevoli, la loro arma principale è la parola “insieme”. Che cos’è l’amore? Forse è questa focaccia fatta per te. Le Ariette fanno bene: al cervello, al cuore, al respiro. Tommaso Chimenti, ilfattoquotidiano.it, 30 marzo 2016

[…] Il sapere che le Ariette ci raccontano è soprattutto intuitivo e sentimentale, appartiene al campo dell’esperienza materiale: quella dei ricordi, delle emozioni, dei sentimenti, della farina, dell’acqua, del pane e del vino. Dal racconto della passione per la musica di Tom Waits – colonna sonora all’inizio dello spettacolo con la canzone Chicago che parla di semi piantati che non cresceranno –, Pasquini passa a chiedere: “Chi, oggi, scrive ancora lettere?”. E ancora: “Se vi obbligassi stasera a scriverne una, a quale persona cara la scrivereste?”. Lui la scrive a Paola. Ed è quella che ascoltiamo alternandosi entrambi davanti o attorno al tavolo, col grano sparso per terra o raccolto dentro una vasca dove lei immerge i piedi, rievocando, col semplice sovrapporsi di una veste, ricordi d’infanzia, o dialogando ironicamente con lui seduto di fronte […] Fra autobiografia e parabola di valori universali, dove s’insinua, tra le righe, la storia di ieri e quella tecnologica e televisiva di oggi, dove affiorano temi ecologici ed esistenziali, le Ariette ci fanno sentire commensali attivi del loro “sapere” del grano coinvolgendoci, infine, nel mimare insieme a loro quei gesti delle mani che Pina Bausch creò in Kontakthof per danzare il ritmo della natura nel trascolorare delle quattro stagioni. Un omaggio alla grande coreografa che, indirettamente, forse, ha ispirato il loro teatro. Quel teatro che affonda le radici nella vita reale. E di essa continua a nutrirsi.

Giuseppe Distefano, artribune.com, 8 aprile 2016

[…] Come Stefano Pasquini, uno dei tre attori, ha dichiarato parlando dello spettacolo, «per andare avanti bisogna fare i conti con ciò di cui si è fatti». Ecco allora che all’interno di questo teatro, in cui il cibo da sempre rappresenta un elemento essenziale, l’ingrediente del grano – emblema di una memoria legata alla terra – è stato sapientemente mescolato alle forme della lettera, del racconto e del dialogo, per dare vita ad una pièce dal sapore nostalgico e di grande sostanza, con una ricetta ancora in farsi. […] Ciò che colpisce in questo studio di pièce è la totale messa in gioco di se stessi da parte degli attori, l’empatia prodotta dall’espressività della Berselli, la sensazione di convivialità data dall’intimità dell’ambiente e dal reale scambio fra i presenti durante il banchetto finale. Resta una riflessione sul teatro quale luogo di sospensione del tempo e strumento di rielaborazione delle esperienze.

E poi, se è vero che una focaccia cambia gusto sulla base di chi la prepara, perché chi impasta vi mette dentro un po’ di sé, questa è la conferma del valore dell’esperienza umana che sta dietro al teatro delle Ariette: quella focaccia era buonissima.

Martina Vullo, paneacquaculture.net, 5 aprile 2016

[…] Tutto quello che so del grano è una raccolta di memorie, della vita vissuta insieme negli ultimi trent’anni da Paola e Stefano. C’è il teatro, ovviamente, c’è l’amore, la campagna,

l’infanzia, i ricordi, la felicità, l’attesa, la tristezza, l’incertezza. C’è tutto quello che è importante, e vero. Cosa succede: un uomo e una donna una sera litigano, non sappiamo bene perché. Tutto quello che abbiamo fatto lo abbiamo fatto insieme. Molta gente si è innamorata di noi, insieme. […] Lei ama il teatro, ma adesso lo mette in dubbio. Forse ha ragione Pasqui, stiamo facendo cose inutili, lui lo dice sempre che fa teatro solo per me e che altrimenti avrebbe fatto altro. Ha ragione, non ne vale la pena. E invece sì, e lo sanno bene entrambi, e se non vale in assoluto vale per il loro, di teatro, che coincide quasi interamente con la vita, che è vero come non si è visto mai, vero come il grano che l’amico Maurizio Ferraresi versa in un’artigianale e traballante composizione di tubi di plastica, e che finisce dentro una bacinella, direttamente sui piedi di Paola, vero come la focaccia che sta cuocendo in forno, di cui si spande in sala il profumo, che nessuno ha certo intenzione di mettere in dubbio e che tra un po’ tutti quanti andremo a mangiare, pancia piena o no, insieme sul palco, insieme agli attori e insieme all’uovo al tegamino, al formaggio e al vino […].

Giulia Foschi, nonfarneundramma.wordpress.com, 9 maggio 2016

Servizio del TG2 di Loretta Cavaricci (al minuto 00:58) http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-376d0a6f-897b-4000-92f5-ab62fc5d09a5-tg2.html#p=

Servizio di Memo l’Agenda Culturale, Rai5 – canale 23 (puntata del 22 luglio, dedicata al Festival VolterraTeatro) http://www.rai5.rai.it/articoli-programma/memo-lagenda-culturale-del-22-luglio-2016/34130/default.aspx

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