AMARE CANNIBALE I Nove mesi della vita di madri e figlə

AMARE CANNIBALE I Nove mesi della vita di madri e figlə

testo e regia Mariagrazia Pompeicon Valentina Favella, Francesca Diprima, Riccardo Pierettilighting design Giacomo Carusilive video e video mapping Pietro Cardarellimusica & sound design Giorgio Bertinellifonica Pier Francesco Pellerealizzazione scene Larbi Sakouhicostumi Francesca Romana Parisiniassistente alla regia Giulia Cerroneproduzione Magma e Fondazione Luzzati-Teatro della Tosse

 

 

DAL 13 AL 15 MAGGIO

TEATRO TOR BELLA MONACA-ROMA

Dopo il debutto genovese, arriva a  Roma al Teatro Tor Bella Monaca, dal 13 al 15 maggio, AMARE CANNIBALE. I nove mesi della vita di madri e figlə, spettacolo scritto e ideato da Mariagrazia Pompei sul tema della maternità.

“Amare Cannibale” è un testo teatrale, frutto di un lungo percorso di analisi e ricerca, condotto attraverso interviste a donne di estrazione sociale e culturale diversa, che nasce dall’esigenza di raccontare il viaggio, lungo nove mesi che una donna affronta prima del parto, concentrando la riflessione su un assunto tanto semplice quanto dimenticato: prima di un figlio nasce una madre. È un processo lungo e non sempre privo di conflitti. Racconti eterogenei di una stessa condizione hanno dato origine ad una ricerca condotta attraverso letture critiche e analisi controverse che è risultata in un testo teatrale scandito in nove capitoli/scene. In una vertigine comica grottesca quelli che sono si rivelano i drammatici sconcertanti cambiamenti di una donna durante il periodo di gestazione.

Nove Mesi per crescere Figlio e nascere Madre.

Lo spettacolo, che abbraccia il punto di vista della Madre, racconta con ironia e delicatezza tutti gli sconvolgimenti che possono accorrere mentre ci si prepara a dar vita a un altro essere umano; e pone delle domande su alcuni assiomi culturali che pongono non poche difficoltà al mondo femminile. La regia affidata alla stessa Pompei, si struttura su un meticoloso lavoro attoriale da un lato, e sull’utilizzo narrativo del video mapping dall’altro. Questa tecnica di proiezione consente di ‘trasformare’ completamente gli elementi scenografici, e, al contempo, mostrare un’apertura verso altri scenari possibili dalla realtà della protagonista, confinata nella scena teatrale. L’effetto complessivo è quello di un ambiente scenico destabilizzante e in continuo mutamento. Inoltre, gli scenari raffigurati dalle proiezioni, sono abitati l’altro personaggio femminile, in dialogo con la protagonista attraverso improvvise, apparizioni e sparizioni dalla realtà contingente di quest’ultima. Nella pratica, l’attrice proiettata, è presente in un’altra zona del teatro e recita in tempo reale, all’interno di una cabina green screen completa di camera, luci e microfono, incarnando in quanto attrice le varie gabbie sociali alle quali il corpo della donna è sottoposto, e in quanto personaggio un fantomatico altrove proiettato in scena. Ed è proprio grazie alla mappatura di questo ‘altrove’, apparentemente inaccessibile al personaggio della Madre, che si evidenziano lo spaesamento, la malinconia e tutti i dubbi che insorgono in questo viaggio di nove mesi verso una radicale trasformazione. Ciononostante, non mancano momenti di gioia e meraviglia, affidati principalmente al personaggio del marito/futuro padre, e sottolineati sapientemente dalle musiche, tutte originali, e dalla recitazione versatile dei tre giovani attori: Valentina Favella, Francesca Diprima e Riccardo Pieretti.

Attraverso interviste, incontri, confronti con amiche e conoscenti ho potuto indagare quanto questo ‘viaggio’ sia traumatico, affascinante, sconvolgente e misterioso. L’innamoramento lento e pauroso che scaturisce da tale periodo della vita di alcune donne, ha mosso in me il desiderio di sapere sempre di più cosa, come e con quali stati d’animo si affronta tutto questo, e quale tabù o stigma si celi dietro la parola “mamma”.” _ annota Mariagrazia Pompei. “La nostra società definisce il dovere materno stringendolo tra maglie di comportamenti ovvi a cui le donne sono chiamate se decidono di diventare madri, e se le stesse mettono in discussione i suddetti comportamenti, l’effetto è la speciale solitudine di una confessione ritenuta poco accettabile, che si teme affidare persino al silenzio di una riflessione privata. Il modello estetico, l’indipendenza economica e il passaggio ad un’altra vita, dentro un altro corpo, che ha altre funzioni vitali, è spesso considerato dovere materno, senza domandarsi a quanto una donna rinunci, e come si senta a farlo, prima di trovare consolazione nello sguardo del suo piccolo, e a volte neanche in quello. Affrontare la ‘metamorfosi’ con paura e responsabilità è stato l’esito riscontrato in tutte le donne intervistate nel mio percorso di ricerca, ed è proprio la sensazione di costrizione e/o lo smarrimento rispetto ad una vita che evolve, ciò che ho voluto raccontare. Le domande poste sono state: “Ti sei pentita? Hai avuto paura? Hai paura? Ti sei sentita capita? Ti sei sentita sostenuta? Hai paura di sbagliare? Sai cosa fare?”. Ogni donna intervistata, ogni amica mi ha confidato dubbi e confusioni diverse, ma tutte ugualmente denunciavano la perdita della libertà su più piani: sociale, emotivo, economico. Le risposte non le ho trovate ma ho lasciato aperte le domande da condividere prima con la compagnia e poi con il pubblico. Ironizzando sulla serietà dell’argomento mi sono fatta muovere dalla convinzione che solo una risposta poteva esserci che da sola può placare e condurre l’istinto, magari non per sempre, magari in maniera conflittuale, di madri, padri e figli: l’amore.”

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