ALESSANDRA – GENOVA

ALESSANDRA – GENOVA

Alessandra racconta la sua storia seduta davanti ai tre figli. Lei, occhi azzurri e la scritta tatuata appena sotto il collo “Love me for who I am” (Amami per come sono), sorride sempre anche se ha un’ombra nello sguardo. Loro, Giovanni, 15 anni, Dario, 12, Michele, 10, ascolteranno in silenzio, mai un sorriso, mai una reazione. Solo Giovanni, interpellato, dirà che la situazione «un pochino sì, mi pesa, ma la mia vita mi piace così».

Alessandra è tornata a Genova da un anno, dopo aver lasciato a Roma un compagno con cui ha vissuto 14 anni e da cui ha avuto i due figli più giovani. Giovanni, invece, è nato da una relazione precedente.

L’incontro con Alessandra è nella sede de L’Albero della Vita, quartiere Campasso a Sampierdarena, una grande stanza luminosa e allegra che si affaccia su strade colme di immondizia, materassi e vecchi mobili sui marciapiedi, cassonetti aperti e maleodoranti. Un quartiere difficile, senza neppure un negozio, non lontano da quel che resta del Ponte Morandi crollato. Un’area che spera in un progetto di riqualificazione promesso ma ancora da venire.

«Viviamo noi quattro insieme» racconta Alessandra e sottolinea, come farà molte volte nel corso della conversazione, che lei è comunque «fortunata, davvero, perché ci sono tanti che stanno peggio di me». I suoi problemi li definisce «quelli di tutti: l’affitto e le bollette da pagare, il pranzo e la cena da mettere in tavola, crescere i figli da mamma separata. Niente di speciale, ma quando non hai un lavoro è una situazione che ammazza. Qui a Genova è difficilissimo trovare un impiego. Ho lasciato curriculum ovunque».

Alessandra parla dell’ansia «che ho, altroché, è normale, ma vado avanti» e sorride, sorride con quell’ombra nello sguardo.

Sostiene di essere un po’ zingara «perché vorrei sempre essere altrove. A Genova la gente è un po’ chiusa, anche se ovviamente non sono tutti uguali. Roma è accogliente, un altro mondo. E così Napoli, la città di origine della mia famiglia». Un padre che adora (su un braccio Alessandra ha tatuato la parola Daddy, papà), una mamma “in gambissima”, un fratello e una sorella. La racconta così questa sua famiglia, ma non aggiunge un dettaglio in più, così come per tutto il tempo non dirà una parola sui due compagni e sul ragazzo arabo il cui nome ha inciso sull’altro braccio. Non dirà nulla della sua casa, dove non ha voluto che entrassimo, e neppure mostrerà il volto alla fotografa. «No, non mi vergogno di essere in difficoltà, di essere aiutata. Se mi vergognassi non sarei qui ora a raccontare la mia esperienza. Ma ognuno di noi ha la sua vita» dice, indicando anche i figli. «Una vita che deve essere soltanto sua».

Oggi Alessandra vive di qualche lavoretto saltuario, «il papà dei miei figli mi aiuta, con lui sono rimasta in buoni rapporti. Anche il Comune interviene e ho il Rei, il reddito di inclusione. E poi sono una che si è sempre arrangiata».

Durante il giorno i figli «passano tanto tempo fuori, hanno gli amici. Sono ragazzini che si ambientano bene, anche se cambiare città ha portato loro qualche difficoltà. A scuola vanno da soli, compreso il piccolo. Io non sono di quelle mamme che impedisce ai figli di fare e andare. Per quanto mi riguarda, giro per cercare lavoro o sto a casa, ma non mi fermo mai».

Con L’Albero della Vita è entrata in contatto «tramite un’assistente sociale del Comune a cui avevo spiegato la mia situazione. Prova, mi ha detto, possono darti una mano. Sono venuta qui, in questo ufficio, e ho trovato Giulia che è una ragazza in gamba, bravissima. Sono senza lavoro e ho tre ragazzini, le ho detto. Allora diamoci da fare, mi ha risposto».

«Il nostro è un percorso iniziato da poco» spiega Giulia Santamaria, coordinatrice del progetto Varcare La Soglia ed educatrice. «Insieme stiamo lavorando a una ricerca sistematica di un lavoro. Alessandra ha ricevuto il pacco alimentare e ora stiamo ragionando sui ragazzi, per farli seguire nei compiti ed entrare in centri di aggregazione dove possano trascorrere sereni il tempo libero. Alessandra dovrà prendere la patente, questo è un altro obiettivo. Perché saper guidare rende più facile trovare un impiego». L’Albero della Vita si sta occupando di altre dieci famiglie nel quartiere Campasso. «È una zona dove abbiamo iniziato a lavorare da non molto. Il loro numero presto aumenterà».

Cosa ti manca di più Alessandra? «Avessi un lavoro, uno qualsiasi, non mi mancherebbe nulla» risponde. «Il lavoro è la cosa importante, ciò che ti rende autonoma e indipendente. Ma voglio dirlo ancora una volta: io sono fortunata, ho i genitori in vita, ho tre bellissimi figli». Hai raccontato i tuoi problemi davanti a loro. «Ma io parlo con loro, condividiamo ogni cosa, difficoltà comprese. Dico sempre: guai a compiangersi. Perché se qualcosa non va non la risolvi piangendoti addosso. L’importante è andare avanti a testa alta, così mi ha insegnato mio padre».

Alessandra parla e sorride. «L’Albero della Vita mi ha aiutata a riflettere, a capire. Ho incontrato Giulia mentre stavo attraversando un momento duro e ora sono serena. E questo vuol dire tanto». E sorride ancora, ma questa volta l’ombra nello sguardo non c’è.

Le foto sono di Valentina Tamborra a cura di Roberto Mutti, mentre i testi di Monica Triglia.

 

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