La fine di Netflix

Netflix ad oggi è uno dei maggiori servizi di streaming più quotati al mondo. O almeno lo era. Partiamo dagli albori: Marc Randolph è stato il primo amministratore delegato di Netflix nell’epoca in cui si doveva chiamare TakeOne o NowShowing.

Il termine Netflix fu coniato da un genio del Marketing, Reed Hastings, il quale inventò anche delle storie credibile come quella del super conto che Hastings si trovò a pagare quando riconsegnò in ritardo, ad Blockbuster, la videocassetta di un film. Peccato che tutto questo sia inventato, ma come si dice, a volte la fortuna aiuta gli audaci. Netflix nasceva come un servizio per spedire a casa i DVD – secondo quanto ci racconta Riccardo Luna, giornalista de La Repubblica – e col tempo (grazie anche alla crisi del Blockbuster), Netflix ha cambiato il modo radicale in campo sociale, economico e storico di vedere i film e serie tv. Gli scandali, i fischi nei festival internazionali quando compare il logo dello streammer, le critiche dei produttori hollywoodiani, critiche di qualsiasi tipo quando si parla di cambiamento. Ma non è di questo che vogliamo parlare oggi.

La verità è che Netflix sta perdendo colpi. Il titolo in Borsa dei giorni scorsi parla chiaro: la compagnia è scesa quasi del 5 per cento, la quinta sessione consecutiva in calo e dal 3 di luglio ha perso un terzo del suo valore. Dicono che questo trimestre sarà il peggiore dal 2012. Perché tutto questo? Lo spiega una lunga analisi del Financial Times, affermando che per la prima volta gli abbonati negli USA, paese dove la società è più forte in termini di numeri e utenti, sono radicalmente diminuiti. Non solo. Anche la concorrenza è in aumento, Apple e Disney sono scesi in campo e offrono prodotti di qualità a un prezzo più basso: rispettivamente 5 e 7 dollari al mese contro i 13 di Netflix. Altro che serie tv e fantasia, questa è una storia vera, di quelle che iniziano bene e non si sa come finiscono.

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