Farenheit 11/9 e il passato che ritorna

Il documentario Farenheit 11/9 è passato nei cinema italiani dal 22 al 24 Ottobre, e per chi conosce Michael Moore può sembrare, forse a ragione, solo un’altra delle sue invettive politiche, sequel ideale di Farenheit 9/11, quando l’obiettivo polemico era Bush.

In effetti è un film politico, un attacco frontale, sprezzante e agguerrito all’attuale presidente Donald Trump. Questa è al contempo la sua forza e la sua debolezza: per chi è più orientato verso le idee dichiaratamente di sinistra e liberal del regista il film fornisce una enorme dose di energia propulsiva, nonché una dura e autocritica riflessione sugli errori e sulle responsabilità della sinistra; per chi invece è dall’altro lato della barricata, ovviamente il film non convince: “non sposta un voto”, direbbe un politico. E infatti Moore non è un politico, ma un semplice cittadino con un fortissimo senso civico e una grande dote comunicativa: è diretto, ruvido, a tratti vernacolare (a inizio film si chiede “how the fuck did this happen?”).

Ma a prescindere dallo schieramento politico, e anche dalla qualità tecnica del documentario, che verso la fine si inoltra in cronache quasi da politica di provincia, quello che interessa sottolineare in questa sede è un elemento centrale del film. Si tratta dell’accostamento di Hitler a Trump, e di questi tempi ai tempi della grande crisi del ’29. Un accostamento evocato spesso da molti comunicatori pubblici, si parla molto di crisi della democrazia attuale come fenomeno simile alla crisi dello stato liberale degli anni ’20-’30, eppure qui è presentata una vera e propria analogia diretta: le parole di Trump sono sovrapposte alle immagini di Hitler. È ben più di un paragone. Come ha detto Moore in un incontro alla Festa del Cinema di Roma: “non è Trump a somigliare a Hitler, ma Hitler a somigliare a Trump”. La forza caustica della denuncia di un vero e proprio “attacco alla democrazia” è rilevabile in tutta la sua forza, e merita attenzione. Innanzitutto nella sua forma sanguigna e prorompente, così americana, impensabile nel vecchio continente e tanto meno in Italia.

Infatti il paragone con la situazione europea e italiana è doveroso, in questi giorni soprattutto. Non solo per evidenziare il carattere globale della crisi delle democrazie, attraversate da un vento populista antidemocratico, ma per rendersi conto delle diverse reazioni a questa tendenza di fondo. Se negli Stati Uniti un manifesto politico come Farenheit 11/9 dà voce a una “resistenza” dal basso, autenticamente democratica e politica, che vede esplicitamente in Bernie Sanders il suo vero leader, in Europa, e ancora di più in Italia, la sinistra democratica, ma anche tutte le forze partitiche tradizionali, appaiono un fenomeno elitario, animato da un paternalismo buonista “dall’alto” sostanzialmente alieno alle classi popolari.

L’inizio del ventunesimo secolo sembra somigliare all’inizio del ventesimo, tutto sta a come rispondere a questo ricorso storico: restando nella storia (che è storia delle persone, delle comunità, del popolo e dal popolo) o, per indifferenza, snobismo, pigrizia o paura, tirandosi fuori dalla storia.

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