Boy erased. Fingere non serve

Il film che ha fatto molto discutere recentemente, Boy Erased, da Febbraio al cinema in Italia, offre spunti interessanti per riflettere su un tema attuale ma in realtà antichissimo. Non si tratta banalmente dell’accettazione sociale dell’omosessualità oggi. Il vero tema sotteso è la verità nei rapporti, la genuinità ed autenticità dei legami, familiari e affettivi. Più precisamene, è sostenuta con forza l’inevitabilità della sincerità nei rapporti. L’alternativa è la morte.

La storia è vera e anche per questo il tema è complesso. Il film riesce abilmente a smarcarsi da visioni ideologiche banalizzanti: il ragazzo non è omosessuale perché subisce traumi, non è “anormale”; e neppure la soluzione è il semplice libertinismo: non si afferma la propria libertà sessuale con il disordine totale. Il film riesce a mantenersi in un equilibrio realistico che, lungi dall’essere esaustivo sul tema, stigmatizza l’approccio ideologico “patologizzante” di alcuni ambienti conservatori e religiosi, per il quale l’omosessualità è una malattia, un fenomeno anormale, ma al tempo stesso non cade nel puro “ribellismo” sterile. Garrard matura una propria identità autentica proprio a partire dal rapporto con il suo contesto, con il padre e la madre. Anzi, a partire dal difficile e sofferto dialogo con loro scopre la sua verità e la sua personale via alla felicità.

Il “programma rifugio”, una sorta di rieducazione sessuale a cui viene mandato Garrard, è, già dal nome, chiuso, artificiale, forzato, finto. Gli viene ripetuto “fingi finché non riesci”. Come se senza verità si possano avere relazioni autentiche. Ciò che impara invece per contrasto è proprio che la sincerità è l’unica base ineludibile. È il riconoscimento della realtà. “Io sono gay, ed io sono tuo figlio. Nessuna di queste due cose è modificabile”, dirà alla fine al padre, nel cercare un rapporto di accettazione amorevole. Un realismo coraggioso, sofferto e drammatico, che si apre con fiducia al riconoscimento dell’altro

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