Una repubblica fondata sulla protesta

protestaL’Italia sta lentamente diventando una Repubblica democratica fondata sulla protesta . Sono ormai scesi in piazza per manifestare praticamente tutti, dallo studente all’imprenditore, dal malato di Sla al lavoratore dei campi, dai medici specializzandi ai poliziotti. Il lavoro non è più un diritto ma un premio, che ottengono i vincitori della lotta alla sopravvivenza. La nostra classe politica dimostra una spiccata incapacità nella risoluzione dei problemi pratici, che più interessano alla popolazione, primo fra tutti l’occupazione. Fino a poche settimane fa c’era la scusa della decadenza di Berlusconi da senatore, poi si è passati a quella della legge elettorale, poi ancora alle Primarie del Pd. Ora cosa inventeranno i politici per giustificare la loro inefficienza e il loro immobilismo? Le sfilate nei salotti televisivi non piacciono più a nessuno. Servono i contenuti, non solo le parole vuote che hanno reso la politica un puro e semplice esercizio dialettico tra i rappresentanti dei diversi partiti. Quando forniranno una risposta concreta ai danni arrecati dalla flessibilità del lavoro, degenerata nella precariato, che ha devastato sogni e aspettativi di quanti erano pronti a crearsi un futuro in questo Paese? Mistero. Una delle parole che maggiormente ci siamo abituati a pronunciare è quella di crisi, come se questa fosse una condizione inespugnabile inclusa nell’esistenza di tutti quelli che, almeno per il momento, hanno una vita segnata dalle scadenze. Ma la rabbia di quanti si sentono abbandonati dallo Stato nella forma delle sue istituzioni, si riversa anche contro giornalisti e sindacalisti, un tempo alleati. La sfiducia verso di loro rappresenta la parte più controversa della vicenda. I primi sono accusati di essere venduti, i secondi di essere collaborazionisti. Non deve stupire a questo punto il successo del Movimento 5stelle, che ha saputo cogliere il malcontento degli italiani nei confronti dei suoi due storici paladini, facendone un cavallo di battaglia della propria campagna antipolitica. Dove si andrà a finire a questo punto? L’Italia fino ad oggi non ha mai conosciuto una vera e propria rivoluzione. Ma si stanno lentamente creando tutte le condizioni affinché ciò accada. Basta dare un’occhiata agli ultimi dati Istat: oltre il 27% dei giovani tra i 15 e i 34 anni non studia, non lavora e non è in un percorso di formazione. I cosiddetti ‘Neet’, (not in education, employment or training) sono 3,75 milioni. Al Sud la percentuale è del 36,2% (oltre 2 milioni di persone). Forse in questo momento storico questi ultimi ancora non hanno fatto sentire la loro voce, perché protetti da uno stato familiare che garantisce loro la sicurezza economica. Ma tra dieci anni, qualora la situazione non dovesse mutare, prepariamoci ad assistere al più grande sciopero di massa di tutti i tempi. A quel punto, non ci sarà alcuna legge di stabilità in grado di placare gli animi dei manifestanti, come d’altra parte accade già oggi.

Silvia Di Pasquale

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