Una Società inclusiva, una Società possibile

La diseguaglianza tra generi esiste. È un dato di fatto con cui quotidianamente ci confrontiamo. Ciò non significa che sia una verità ineluttabile e la nostra azione è mirata nel predicare e praticare una cultura di genere permeante tutti gli aspetti della nostra vita. Non solo rivendicazioni di diritti, ma equa ripartizione dei doveri. Non solo riconoscimento in ambito pubblico istituzionale, chiedendo l’applicazione dei principi costituzionalmente sanciti, bensì opera di tutela e salvaguardia nel campo del lavoro, per il tramite della difesa delle libertà sindacali e dei diritti del lavoratore, ma, soprattutto, correzione dei meccanismi ove il pregiudizio si annida e si alimenta in ambito familiare.

Sono noti casi di donne impegnate, femministe evolute, coscienze illuminate che poi scivolano nell’educazione della prole, nel rapporto col partner o nella cura familiare. È certamente più difficile stanare e correggere i meccanismi sedimentati da generazioni di donne angeli del focolare, dove la forza dei sentimenti sembra far prevalere la visione vittimistica della donna immolata al sacrificio.

La cultura occidentale, la religione e l’etica comune non sono di supporto. Siamo cresciute all’ombra della misoginia clericale, filosofica e politica. I principi democratici, considerati universali e partecipativi, che fondano la nostra società sono minati in nuce da un patriarcato della tradizione che determina un bias applicativo.

La lunga strada per una parità effettiva nasce come una ribellione alla giustificazione della inferiorità biologica delle donne di matrice greca, per poi passare, con la rivoluzione francese, alle istanze di riconoscimento dello status di cittadina e, con la rivoluzione industriale, a rivendicazioni salariali, civili e sindacali, nonché, con l’affermarsi del liberalismo, a partecipazione alla vita politica. Anche le teorie socialiste, nei suoi estremi del fascismo e comunismo, dapprima sostengono le istanze paritarie delle donne, raffigurando la donna nuova, portatrice di forze ed energie costruttive, ma, poi, entrambe la tradiscono, nel revanscismo fascista per l’affermarsi della donna fattrice di braccia per la Patria, nelle lotte comuniste per il timore maturato negli ambienti politici di sleale concorrenza nel mondo del lavoro.

Le rivendicazioni del riconoscimento dei diritti per una parità egalitaria, nel dopoguerra, si trasformano in un ripensamento generale della società in chiave dialettica dapprima tra sessi, poi in termine di genere. Letture critiche e linguaggi politicamente corretti degli ultimi anni possono, però, solo scalfire la superficie concettuale senza intaccare l’impianto archetipo sociale, perché il costrutto androcentrico risulta talmente sedimentato da non esserne minimamente intaccato.

La decostruzione femminista tende a svelare la dicotomia tra sfera politica e sfera domestica. Queste affermazioni concettuali segnalano che la filosofia politica risulta costruita su fondamenti logici da cui le donne sono strutturalmente assenti e escluse. Quando la filosofia ripensa la politica questo fondamento concettuale rimane sintomaticamente identico.

L’androreferenzialità ha prodotto una società pensata al maschile.

Ritmi di lavoro, rappresentanze politiche e istituzionali, educazione all’immagine e gestione dei media, distribuzione dei carichi domestici e attività di cura, percorsi di carriera, tipologie di mestieri, piani di investimento pubblici, modelli educativi, linguaggio, strumenti e programmi didattici, architetture degli spazi, strutture e servizi offerti alla cittadinanza, finanche la sperimentazione in campo medico, la segnaletica stradale e le intitolazioni toponomastiche: tutto intorno a noi è declinato al maschile e le donne ne sono talmente permeate da non riconoscerne le differenze.

Il modello androcentrico è sessista e razzista perché si pretende universale, in quanto discrimina ogni differenza culturale, etnica e sociale.

Il passaggio concettuale tra uomo ed umanità richiede una riappropriazione di identità sopita.

I tempi crediamo siano maturi

 

 

Federico Mattia Ricci

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