Romano Prodi, figura storica della sinistra italiana ed ex Presidente del Consiglio, è tornato sotto i riflettori, ma non per meriti politici o accademici. Il 22 marzo 2025, a Roma, durante la presentazione del suo libro: “Il dovere della speranza”, l’ex leader dell’Ulivo ha compiuto un gesto che ha sconvolto l’opinione pubblica: ha afferrato per una ciocca di capelli Lavinia Orefici, giornalista di Quarta Repubblica (Rete 4), in risposta a una domanda scomoda sul Manifesto di Ventotene e la proprietà privata. Un atto scioccante e offensivo, che la cronista ha definito “umiliante”, immortalato da un video che ha smentito le iniziali giustificazioni di Prodi, il quale aveva minimizzato parlando di una semplice “mano sulla spalla”. Solo il 27 marzo, dopo giorni di polemiche, Prodi ha ammesso il gesto, definendolo parte della sua “gestualità familiare”, ma le sue scuse tardive non hanno placato l’indignazione.
Questo episodio non è isolato. Negli ultimi giorni, altri filmati emersi – uno in cui insulta un barista, un altro in cui reagisce stizzito a Venezia a una domanda sul caso Orefici – hanno dipinto un Prodi lontano dall’immagine di uomo pacato e riflessivo che la sinistra ha sempre voluto vendere. Ma c’è di più: il suo atteggiamento aggressivo verso la stampa sembra incarnare un vizio congenito di certa politica di sinistra, sempre pronta a rifuggire il confronto quando si toccano nervi scoperti. La domanda della Orefici, che richiamava un passaggio ideologico usato da Giorgia Meloni, ha messo Prodi di fronte alle contraddizioni di un europeismo spesso sbandierato come dogma, ma che nasconde ipocrisia e incoerenza rispetto alle radici comuniste di parte del suo schieramento. La reazione? Non un dialogo, ma un gesto di prepotenza, quasi a voler zittire chi osa mettere in discussione la narrazione ufficiale.
Prodi, del resto, non è nuovo a queste dinamiche. Negli ultimi mesi, è tornato a dettare le sue linee nel Partito Democratico, cercando di riavvicinare il consenso verso un’Europa che molti italiani vedono ormai come un’entità lontana e punitiva. Una missione che appare in continuità con il suo passato: fu proprio lui, negli anni della transizione dalla Lira all’Euro, a svendere l’economia italiana, portando il Paese da quarta potenza mondiale – un’industria fiorente, un tessuto produttivo invidiato – a un declino che ancora oggi paghiamo. L’ingresso nell’Unione monetaria, gestito con tassi di cambio penalizzanti e senza adeguate tutele, ha segnato l’inizio di una crisi che ha impoverito famiglie e imprese, mentre Prodi si ergeva a paladino di un’Europa che, nei fatti, ha favorito le élite a scapito dei cittadini.
Le polemiche di questi giorni, dunque, non sono solo un incidente isolato, ma il riflesso di un modus operandi. La sinistra, durante i suoi governi – e Prodi ne è stato un simbolo – ha lasciato dietro di sé una scia di danni: dall’aumento della pressione fiscale alla perdita di sovranità economica, fino a un’immigrazione gestita senza visione. Oggi, mentre il PD cerca di rifarsi il trucco con il richiamo all’Europa di Prodi, il gesto contro la Orefici svela il vero volto di chi predica democrazia ma la pratica solo quando conviene. La stampa, quando osa scavare nelle contraddizioni, diventa un nemico da silenziare, anche con atti vili come quello di Roma. E gli italiani, stanchi di subire le conseguenze di queste ipocrisie, guardano con sempre maggiore diffidenza a chi, come Prodi, torna a pontificare dal pulpito di un passato che ha già fatto troppi danni.