A Roma, senza sforzare troppo l’olfatto, si può ancora percepire quanto resta della nube nera che nella giornata di ieri ha attraversato gran parte della città. Ci vorrà qualche giorno perché le sostanze tossiche si depositino completamente, o siano portate via dal vento, ma già mentre il polverone è – letteralmente – ancora alto, si scatena una doverosa istanza polemica volta a tracciare le responsabilità del caso. Che si tratti di dolo o di semplice mancanza, poco importa: un episodio così grave nella storia locale non può essere preso e messo da parte senza che ne sia stata approfondita la natura.
E la gravità è fuori discussione: l’impianto di trattamento meccanico-biologico fungeva da centro di raccolta per materiali di ogni tipo, ora dispersi nell’aria dell’Urbe in forma cancerogena. L’Arpa già riporta un possibile allarme diossina causato dalla nube nera di martedì. Le fiamme sono sotto controllo sebbene il rogo non sia ancora stato spento del tutto, ma per i residenti permangono le disposizioni di emergenza diramate dal Comune: in particolare si sconsiglia di cogliere ortaggi provenienti dall’area circostante almeno per il prossimo mese, che comunque appare come un limite temporale fin troppo basso. Senza contare che le sostanze saranno probabilmente disperse nelle falde acquifere della zona.
Ha destato poi sdegno la notizia dell’inattività delle telecamere di sorveglianza, comunque sequestrate dagli inquirenti: l’impianto sarebbe stato non funzionante per tutti i quattro giorni precedenti al rogo, riducendo le possibilità di identificare eventuali colpevoli. Sdegno anche per il rischio saturazione dell’ecosistema dei rifiuti romano: la città rischia, specialmente in vista del periodo natalizio, di rimanere paralizzata.
I centri di raccolta sostitutivi (Viterbo, Frosinone, Aprilia e Rocca Cencia) non sono infatti preparati a smaltire le seicento tonnellate di rifiuti che giungevano quotidianamente al Tmb Salario. Pericolo, questo, reso ancora più imminente dal fatto che il suddetto Tmb, fortemente danneggiato dalle fiamme, non riaprirà una volta conclusa l’emergenza.
Insomma, la vicenda è gravissima in termini tanto ambientali quanto economici. La gestione della sicurezza dell’impianto, su più fronti, ha mostrato tutta la debolezza del sistema ecologico romano, e di rimando ha generato un’ondata di sdegno e preoccupazione. Oltre ai comitati di quartiere si lamentano i sindacati, tutti in un’unica voce che grida al disastro preventivato. Numerose, dai cittadini e dai lavoratori Ama, erano infatti le preoccupazioni per la situazione del Tmb Salario e la mala gestione; la questione sarà certamente al vaglio degli inquirenti prima che si possa formulare qualsiasi tipo di accusa, congiuntamente all’indagine per l’ipotesi dolosa.
A fare eco a queste voci c’è Manlio Cerroni, “boss” del rifiuto romano e fresco di assoluzione dalle accuse riguardanti la discarica di Malagrotta. Stando alle parole di Cerroni, «se continuano così, Roma brucerà come ai tempi di Nerone». Secondo l’imprenditore, la situazione era «ampiamente prevista […] avevo lanciato l’allarme in decine di lettere inviate alle istituzioni negli ultimi mesi». Lo stesso Cerroni, ad ogni modo, vede ora un centinaio di tali tonnellate giornaliere di rifiuti confluire direttamente in uno stabilimento di sua proprietà, a un costo per il Comune leggermente più alto di quello garantito dai Tmb.