I RISCHI GENERALI E IL MICROCLIMA NELLO SMART WORKING

Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri (CNI), ha pubblicato un documento dal titolo “Linee di indirizzo per la gestione dei rischi in modalità smart working” che vuole aiutare le aziende a comprendere meglio la sempre più diffusa modalità di lavoro in smart working e vuole dare consigli al legislatore su come si potrebbe migliorare da un punto di vista normativo. Proponiamo un focus sui rischi microclimatici e sul comfort termico presenti nello smart working.

Questo periodo di emergenza COVID-19 è stato caratterizzato in modo particolare da una larga diffusione del lavoro agile, c.d. smart working, che ha portato con sé anche molti vantaggi.

Ma come per tutte le attività lavorative, anche per quella dello smart working è necessario provvedere ad una valutazione dei rischi che identifichi i possibili fattori di pericolo che possono sorgere durante il lavoro. Valutazione che è diventata particolarmente rilevante e significativa e che si basa su una sorta di collaborazione tra il lavoratore e il suo datore di lavoro.

La valutazione dei rischi, nel contesto del lavoro agile, al di là del dovere del datore di lavoro di identificare i rischi specifici cui sono esposti i lavoratori (anche nelle sedi prescelte per lo svolgimento del lavoro), deve allontanarsi dalle logiche tradizionali, prendendo atto che questa modalità organizzativa non coincide sempre col lavoro in solitudine e/o con l’attività da casa; non si svolge necessariamente secondo dinamiche a basso rischio; può implicare il confronto con criticità psico-fisiche individuali (es. disabilità) in un’ottica di inclusione e/o di reintroduzione all’attività lavorativa dopo un incidente; può travalicare i confini nazionali, richiamando in causa ulteriori fattori d’interesse per quanto concerne i lavoratori all’estero e le relative responsabilità datoriali.

Il documento CNI segnala che la scarsa conoscenza della modalità di smart working, o di lavoro agile come è stato definito nella norma italiana vigente, ha generato sia nelle aziende private che in quelle pubbliche notevoli fraintendimenti causati da una generalizzazione mediatica assolutamente errata, portando spesso a classificare il telelavoro in tale ambito.

Viene inoltre ricordato che la valutazione dei rischi richiede per prima cosa un inquadramento organizzativo del personale che opera in modalità di lavoro agile.

Sarebbe utile individuare il n. di lavoratori che svolgono la propria attività in condizioni di smart working e per chi eventualmente è già programmato che vi lavorino nell’immediato futuro.

Un altro aspetto importante da verificare, prima di procedere con la valutazione dei rischi specifica, riguarda quale tipologia di attività aziendale viene svolta in modalità lavoro agile e quale sia l’estensione geografica dei lavoratori coinvolti (sedi di lavoro in smart working ed eventuali ulteriori spostamenti temporanei, ad esempio presso locali di vacanza o in trasferta presso clienti).

Altresì, occorre ricordare che per lavoro agile si intende una modalità di lavoro anche organizzata per fasi, cicli e obiettivi, senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa, la quale deve essere eseguita, in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa (a distanza).

In generale tra gli aspetti da approfondire e i rischi specifici da valutare, connessi alle attività svolte in modalità smart working, il documento elenca l’ergonomia della postazione di lavoro; il rischio elettrico; il rischio rumore; il rischio da sostanze presenti; il rischio incendio ed esplosione; il rischio sindrome da visione al computer; il rischio da campi elettromagnetici; i rischi psicosociali; il rischio stress lavoro correlato ed il microclima.

Il CNI nelle linee di indirizzo, prima di affrontare i singoli rischi, si sofferma su alcuni principi generali che potrebbero essere utili per definire le condizioni da concordare tra azienda e affittuario, se si prevede una modalità co-working, o tra azienda e lavoratore se lavorerà direttamente dalla propria abitazione.

Riguardo agli ambienti viene evidenziata l’importanza di verifica da parte dell’azienda, con il supporto del RSPP, dello stato degli spazi destinati a co-working con l’affittuario degli stessi, in modo da poter richiedere preventivamente alcune eventuali misure di adeguamento relative alla sicurezza dei locali e alle misure di emergenza. Nel caso in cui il lavoratore agile utilizzi la propria abitazione l’approccio deve essere diverso ma è comunque importante fornire indicazioni preventive per evitare situazioni che potrebbero rivelarsi di difficile risoluzione in un secondo momento, quando ad esempio la modalità smart working sia già a regime con tutta la strumentazione da utilizzare.

Un altro aspetto da considerare, non collegato ad un rischio specifico, riguarda la necessità di effettuare pause di lavoro ravvicinate, sicuramente più frequenti rispetto a quanto previsto attualmente dal D.Lgs 81/2008 per i videoterminalisti, ovvero pause di 15 minuti ogni 2 ore di lavoro presso il videoterminale.

Alcune normative europee, prevedono ad esempio, in caso di utilizzo di laptop, tablet o smartphone (che hanno schermi di dimensioni inferiori), pause più brevi ma molto più ravvicinate e frequenti. Sono vivamente consigliate durante l’utilizzo di tali strumentazioni pause brevi (30-60 secondi sarebbero sufficienti) ogni 15 minuti o in alternativa una pausa più lunga (5-10 minuti al massimo) dopo non di più di 1 ora di lavoro.

Per quanto concerne il rischio microclimatico, il documento sottolinea che microclima e qualità dell’aria devono avere caratteristiche tali da consentire di preservare salute e benessere di chi occupa gli spazi. Ciò si concretizza o attraverso ricambi di aria reperita dall’esterno o con specifici sistemi di condizionamento e riscaldamento.

Le indicazioni presentate nel documento dovrebbero essere applicate non solo presso locali comuni in cui il lavoratore opera in modalità smart working, ma anche presso abitazioni private o comunque non aziendali (seconde case, case vacanza, altre abitazioni private, ecc.).

È necessario che lo spazio disponibile sia tale da consentire liberi movimenti; i locali siano dotati del requisito di agibilità (è preferibile non siano ubicati in seminterrati); l’illuminazione e l’areazione siano idonee; il locale sia asciutto e non umido; le condizioni igieniche siano idonee.

Viene poi ricordato che l’ambiente interno termico dipende da fonti interne ed esterne. Per chi svolge le proprie mansioni in modalità di lavoro agile, tra le possibili sorgenti di calore, si possono trovare la sicura presenza di attrezzature elettriche (tra cui luci o computer); la radiazione solare e la presenza umana di altri soggetti (non necessariamente colleghi) con cui lo spazio viene condiviso.

Mentre comuni fonti di freddo possono essere efficacemente rappresentate dai ponti termici nelle costruzioni, dalle superfici delle finestre, dalle pareti non correttamente isolate.

In questo senso il comfort termico risente degli effetti combinati dati dalle diverse fonti di calore e freddo presenti nell’ambiente circostante.

Vengono poi riportati i parametri di riferimento suggeriti dalla normativa, e che dovrebbero essere segnalati come necessari ai lavoratori in smart working, come la temperatura interna invernale di 18 ÷ 22 °C; l’umidità relativa invernale del 40 ÷ 60 %; la temperatura interna estiva inferiore all’esterna deve essere di non più di 7°C; l’umidità relativa estiva deve essere compresa tra 40 ÷ 50 % e la velocità dell’aria deve essere inferiore a 0,15 m/sec.

È importante poi che tutti i lavoratori ricevano le adeguate informazioni in merito ai possibili rischi presenti durante l’attività lavorativa in smart working.

Avendo ricevuto idonee informazioni, i lavoratori che si trovassero a operare in ambienti in assenza di adeguate condizioni microclimatiche, potranno attivarsi per la ricerca di opportune soluzioni (usando, ad esempio, scambi d’aria con l’ambiente esterno o usando i sistemi di condizionamento e riscaldamento a disposizione presso il privato).

Il documento ricorda, infine, che la scelta del luogo dove svolgere l’attività lavorativa in smart working, potrà ricadere su un ambiente indoor oppure outdoor e dovrà essere dettata da un criterio di ragionevolezza che tenga conto di molteplici aspetti, tra i quali, per esempio per ambienti indoor occorre una adeguata illuminazione; una adeguata disponibilità di servizi igienici e acqua potabile e presenza di impianti a norma; un ricambio dell’aria naturale o con ventilazione meccanica; evitare di regolare la temperatura a livelli troppo alti o troppo bassi (a seconda della stagione) rispetto alla temperatura esterna; evitare l’inalazione attiva e passiva del fumo di tabacco.

Per ambienti outdoor occorre una bassa esposizione a radiazione solare ultravioletta; delle condizioni meteoclimatiche favorevoli; luoghi che consentano il facile raggiungimento da parte dei soccorsi; aree che non presentino sostanze combustibili o infiammabili; utilizzo di abbigliamento e protezioni adeguate

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