PNRR E LA PROPRIETÀ INDUSTRIALE

Tra gli obiettivi fondamentali del PNRR vi rientra la riforma del sistema della proprietà industriale al fine di garantire un’adeguata valorizzazione e tutela dei beni intangibili per l’innovazione e la crescita del paese. Con il D.M. del 23 giugno 2021, il Mi.Se. cerca di dare concreto proseguo a tale indirizzo, stabilendo una serie di macro obiettivi, tra cui quello di garantire una maggiore facilità di accesso alle conoscenze brevettuali, con particolare riferimento ai brevetti essenziali.

In linea generale, l’Industria 4.0 riguarda quel complesso di tecnologie inerenti la cosiddetta quarta rivoluzione industriale caratterizzata dalla digitalizzazione e dall’interconnessione di tutte le unità produttive presenti all’interno di un sistema economico. L’ Industria 4.0 rappresenta un cambio di paradigma, dalla produzione centralizzata verso quella decentralizzata attraverso approcci tecnologici che ribaltano la logica dei processi produttivi e naturalmente, in un contesto come questo caratterizzato da elevati costi ed investimenti, è difficile immaginare un business senza un adeguato sistema di protezione brevettuale che tuteli i prodotti nel momento in cui verranno messi sul mercato. Questo scenario sembra, a tutti gli effetti, la futura frontiera dello sviluppo industriale, tendenza testimoniata altresì dall’alto numero di brevetti depositati.

Molti di questi rientrano tra i cosiddetti “SEPs” ossia Standard Essential Patents; parliamo cioè di brevetti ritenuti indispensabili in specifici ambiti produttivi, dove lo sfruttamento di determinate tecnologie è prerequisito essenziale per l’implementazione di specifici dispositivi (es: smartphone, tablet etc. …), in virtù di determinati motivi di interoperatività. Gli Standard Essential Patents possono essere determinati in base al settore merceologico di riferimento (de facto standard) oppure essere sviluppati da appositi organismi di normalizzazione (de jure standard).

Una gestione distorta delle conoscenze attinenti i SEPs può pertanto portare a situazioni di monopolio da parte dei titolari di tali brevetti, mediante la creazione di vere e proprie barriere di accesso ai mercati; da qui l’importanza del sistema delle clausole “FRAND” (Fair, Reasonable And Non-Discriminatory), quale requisito essenziale affinché gli accordi di standardizzazione tecnologica siano aperti a tutti gli operatori del mercato e, da un punto di vista della proprietà intellettuale, venga garantita una “rinuncia al diritto” da parte del titolare del brevetto a favore di coloro che si serviranno dell’invenzione brevettata, a condizione che il titolare stesso ottenga un ritorno economico adeguato.

Il termine standard è di origine anglosassone ed esprime il concetto di un criterio di misura uniforme. Fermo restando che non esiste una definizione universalmente riconosciuta di standard tecnico, sicuramente un orientamento nozionistico viene fornito dall’Organizzazione Internazionale per la standardizzazione (ISO), la quale definisce lo standard come un documento predisposto sulla base di un meccanismo consensuale ed approvato da un organismo riconosciuto, ai fini di un uso comune e ripetuto, che contiene regole, linee-guida o caratteristiche per prodotti, processi o metodi di produzione.

Lo standard pertanto può essere inteso come un insieme di specifiche tecniche che fissano determinati requisiti alla base dello sviluppo di prodotti, processi o metodi di produzione.

Gli Standard Essential Patents (SEPs) o “brevetti essenziali” riguardano quel complesso di tecnologie tese a favorire la compatibilità e l’interoperabilità tra diversi prodotti e processi, al fine di garantire l’ottimale sviluppo tecnologico di un determinato bene complesso.

In un mercato come quello attuale, connotato dalla vasta diffusione di manufatti frutto dell’assemblaggio di diverse tecnologie poste in continua interazione funzionale, è quanto mai fondamentale garantire l’accesso a tale tecnologia complessa al fine di consentire agli operatori di immettere nel mercato i prodotti ad essa collegati. Per tale motivo, si ricorre ai cosiddetti accordi di standardizzazione, la cui finalità è quella di individuare, tra i brevetti rilevanti in un determinato settore, quelli che possono essere considerati

tecnicamente essenziali (SEPs) e da lì definire le condizioni di utilizzo degli stessi. Laddove infatti un soggetto è intenzionato ad utilizzare una tale privativa brevettuale, egli sarà tenuto obbligatoriamente a chiederne la licenza al rispettivo titolare.

In virtù di tale meccanismo, risulta evidente come il titolare di un SEP si trovi potenzialmente nelle condizioni di detenere una posizione di mercato dominante, con tutti i connessi rischi distorsivi della concorrenza che ne possono derivare. I SEPs infatti rappresentino un’importante fonte di guadagno per il soggetto licenziante, soprattutto se destinati ad essere implementati per lo sviluppo di prodotti venduti ad una vasta scala di consumatori.

Partendo da questi presupposti, gli utilizzatori delle tecnologie accusano i titolari di brevetti SEPs di imporre diritti di licenza eccessivamente onerosi e di ricorrere spesso e volentieri alla minaccia di contenziosi; dall’altra parte, i titolari di brevetti SEPs sostengono che gli utilizzatori delle tecnologie approfittano gratuitamente delle loro innovazioni e violano consapevolmente i diritti di proprietà intellettuale senza negoziare in buona fede adeguate condizioni di licenza.

Al fine di evitare le situazioni sopramenzionate e di favorire condizioni di accesso alla tecnologia essenziale troppo onerose e distorsive, i titolari dei SEPs sono tenuti a concedere in licenza i loro diritti di proprietà intellettuale a condizioni eque, ragionevoli e non discriminatorie (FRAND).

Prima di entrare nel merito di tali clausole, giova precisare che queste vengono stipulate privatisticamente con gli organismi di standardizzazione (Standard Setting Organizations) nell’ambito di un procedimento di standardizzazione de jure; trattasi di organismi ufficiali che possono essere sia pubblici e sia privati ed accreditati da istituzioni di stampo governativo.

In merito al contenuto intrinseco dei principi FRAND sono state spesso sollevate una serie di critiche attinenti una certa ambiguità ed incertezza. Diverse sono state le teorie formulate con particolare riferimento alla determinazione della royalty “fair and reasonable” e tutti i metodi sviluppati, per quanto ottimali, non convergono tuttavia su di una definizione univoca di tali impegni.

la COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO E AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO (Bruxelles, 29.11.2017 COM (2017) 712 final) in cui, tra i criteri di definizione della royalty “fair and reasonable”, la Commissione sottolinea che, per valutare se una royalty risulti ragionevolmente congrua al valore economico dell’asset intangibile, bisogna prendere in considerazione i seguenti principi di valutazione della proprietà intellettuale. Nella fattispecie, le condizioni di licenza devono presentare una relazione chiara con il valore economico della tecnologia brevettata; per determinare un valore FRAND si dovrebbe tenere conto del valore aggiunto attuale della tecnologia brevettata. Tale valore dovrebbe essere indipendente dal successo commerciale del prodotto, che non è legato alla tecnologia brevettata; la valutazione FRAND dovrebbe incentivare in modo continuativo i titolari di brevetti SEPs a contribuire alle norme di standardizzazionecon le loro migliori tecnologie disponibili; infine, per evitare il cosiddetto royalty stacking (accumulo delle royalty), nella definizione del valore FRAND un singolo brevetto SEP non può essere considerato isolatamente. Le parti devono prendere in considerazione il valore aggiunto complessivo della tecnologia.

Parliamo pertanto di un approccio di valutazione basato su criteri che tengono in considerazione i brevetti coinvolti, i competitors e, in generale, le caratteristiche intrinseche del mercato interessato.

Per quanto concerne il criterio “not-discriminatory”, viene considerata discriminatoria una pratica consistente nell’applicare nei confronti di clienti diversi, per i medesimi beni o servizi, termini commerciali differenti. A tal proposito, la Commissione Europea ha stabilito nella sopracitata Comunicazione del 2017 che l’elemento di non discriminazione delle condizioni FRAND implica che i titolari dei diritti non possono operare discriminazioni tra utilizzatori che si trovano in situazioni simili.

L’elemento di non discriminazione delle condizioni FRAND indica che i titolari dei diritti non possono operare discriminazioni tra utilizzatori che si trovano in situazioni simili31 . Poiché il concetto di FRAND non è univoco, le soluzioni possono variare da un settore all’altro e in funzione dei modelli imprenditoriali in questione. Come indicato sopra, le condizioni FRAND richiedono che entrambe le parti negozino in buona fede. Possono entrare in gioco anche considerazioni legate all’efficienza. I costi di transazione relativi alla negoziazione di una licenza dovrebbero essere limitati al minimo necessario. Nei settori in cui sono diffusi sistemi di licenze incrociate, si dovrebbe inoltre tenere conto della maggiore efficienza che consentono tali pratiche. Tutti questi punti devono essere presi in considerazione al momento di valutare, caso per caso, se un’offerta di licenza è compatibile con le condizioni FRAND. In linea con l’approccio delineato sopra, la Commissione ritiene che gli stessi principi di efficienza si applichino alle pratiche relative alla concessione di licenze su portafogli di brevetti SEP per prodotti aventi una diffusione mondiale32. Come constatato in una recente sentenza33, un approccio basato sulla concessione di licenze paese per paese può non essere efficiente e può non corrispondere a una prassi commerciale riconosciuta nel settore.

La condotta discriminatoria in esame sarà pertanto considerata abusiva nella misura in cui vada ad integrare i parametri ex art. 102, lett. c), TFUE ovvero l’equivalenza delle prestazioni; le condizioni commerciali dissimili; lo svantaggio competitivo.

È incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo.

Tali pratiche abusive possono consistere in particolare nell’imporre direttamente od indirettamente prezzi d’acquisto, di vendita od altre condizioni di transazione non eque; nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori; nell’applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza; nel subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi.

La Riforma 1 del PNRR si pone l’obiettivo di incentivare una maggiore conoscenza del valore che hanno i titoli di proprietà industriale e delle variegate possibilità di loro utilizzo. Spesso, infatti, non si ha la reale percezione delle potenzialità dei beni intangibili e la sfida, pertanto, è quella di colmare tale distanza, andando ad alimentare una cultura della proprietà industriale quale necessario strumento attraverso il quale far crescere la capacità competitiva delle imprese e del sistema Paese.

In ultimo, sarà riformato il sistema della proprietà industriale. Il sistema della proprietà industriale costituisce un elemento fondamentale per proteggere idee, attività lavorative e processi generati dall’innovazione e assicurare un vantaggio competitivo a coloro che li hanno generati. Questi elementi hanno sempre caratterizzato il sistema produttivo italiano e rappresentano fattori distintivi delle produzioni Made in Italy. La riforma intende definire una strategia pluriennale per la proprietà industriale, con l’obiettivo di conferire valore all’innovazione e incentivare l’investimento nel futuro. La riforma sarà elaborata dopo un processo di consultazione pubblica che avrà luogo nel 2021.

Il 23 giugno 2021, il Mi.Se. ha emanato il Decreto di adozione del Piano strategico sulla proprietà industriale per il triennio 2021-2023; il documento rappresenta il primo provvedimento di attuazione del PNRR e destinatario di un finanziamento di 30 milioni di euro, teso alla realizzazione di un pacchetto di interventi volto a promuovere e tutelare la proprietà intellettuale nell’ambito della digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo.

Circa i contenuti, il decreto tiene conto di quanto indicato dal Piano di azione della Commissione UE “Sfruttare al meglio il potenziale innovativo dell’UE – Piano di azione sulla proprietà intellettuale per sostenere la ripresa e la resilienza dell’UE”, adottato il 25 novembre 2020.

Il Piano d’azione europeo riconosce nelle attività immateriali quali invenzioni, creazioni artistiche e culturali, marchi, software e know-how, i pilastri dell’economia odierna. Rimangono tuttavia numerose lacune e debolezze nel modo in cui le imprese europee proteggono e sfruttano il capitale immateriale. Partendo da tali presupposti, il documento identifica cinque sfide come la frammentazione del sistema di PI dell’UE che rimane troppo frammentato, con procedure complesse e costose e a volte poco chiare; le troppe imprese e ricercatori non sfruttano appieno le opportunità offerte dalla protezione della PI. Soprattutto le PMI, oltre a far registrare bassi livelli di protezione della PI, non valorizzano pienamente lo sfruttamento commerciale dei propri asset immateriali; gli strumenti per agevolare l’accesso alla PI non sono sufficientemente sviluppati ed in particolare la concessione di licenze per brevetti essenziali (SEPs) risulta essere un esercizio farraginoso e costoso sia per i titolari dei brevetti sia per gli utilizzatori delle tecnologie, la contraffazione e la pirateria continuano a prosperare, anche grazie allo sfruttamento delle tecnologie digitali; la mancanza di fair play a livello mondiale fa sì che le imprese dell’UE siano spesso pregiudicate quando operano all’estero. Alcuni paesi terzi non tutelano la PI a sufficienza, spesso a danno delle imprese dell’UE.

L’UE deve quindi sfruttare di più il suo potenziale per svolgere il ruolo di normatore a livello mondiale, intensificando gli sforzi per contrastare le pratiche abusive e sviluppando soluzioni legislative all’avanguardia per questioni globali quali la concessione di licenze per i brevetti SEPs o le modalità di condivisione dei dati. In risposta alle cinque sfide, il piano d’azione ha pertanto individuato altrettanti cinque settori prioritari, con specifiche proposte d’azione volte a migliorare il sistema di protezione della proprietà intellettuale; incentivare l’uso e la diffusione della PI, in particolare da parte delle PMI; facilitare l’accesso ai beni immateriali e la loro condivisione, garantendo nel contempo un equo rendimento degli investimenti; garantire un rispetto più rigoroso della proprietà intellettuale; migliorare il fair play a livello mondiale.

Il decreto Mi.Se. assorbe pienamente l’orientamento europeo e si articola in una serie di macro-obiettivi riguardanti ogni aspetto della proprietà industriale.

Obiettivo delle Linee di intervento strategiche sulla proprietà industriale del Ministero dello sviluppo economico è delineare un piano per la promozione della cultura dell’innovazione e degli strumenti di tutela e valorizzazione della proprietà industriale (PI) condiviso da tutti i soggetti la cui azione incide sul sistema produttivo: policy makers, amministrazioni pubbliche, sistema imprenditoriale e sindacale, mondo accademico e della formazione, ordini professionali e consulenti, consumatori ed utenti.

I diritti di proprietà intellettuale e industriale sono una componente fondamentale della politica dell’innovazione, in quanto offrono agli innovatori e ai creatori strumenti di appropriazione dei risultati del loro lavoro e forniscono contestualmente gli incentivi necessari per investire in nuove soluzioni, invenzioni e know-how. Il corpus di norme in materia di proprietà intellettuale e industriale non è ancora adeguato a considerare le problematiche derivanti dalla ubiquità delle conoscenze ingenerate dalle nuove tecnologie informatiche.

Come possiamo ben immaginare, durante un processo di ricerca scientifica o industriale vengono raccolte e sviluppate molte informazioni importanti, che progressivamente vanno ad acquisire un grande valore economico. Dato che il lavoro di ricerca si basa su lavori precedenti, la condivisione delle conoscenze e delle nuove scoperte costituisce uno stimolo importante per l’innovazione ma, contestualmente, anche il tenere riservate certe informazioni rappresenta la base necessaria per creare valore.

L’innovazione, intesa come applicazione della conoscenza per creare processi più efficaci e nuovi prodotti o per rendere quelli già disponibili più rispondenti alle esigenze di una società in costante evoluzione, è alla base di gran parte della crescita economica. In questo scenario i diritti di proprietà industriale rivestono un ruolo cruciale poiché consentono di proteggere le idee, le opere e i processi frutto dell’innovazione, assicurando un vantaggio competitivo a chi li ha ideati; aprono la possibilità di valorizzare l’innovazione acquisendo nuovi mercati e offrono la possibilità di continuare ad investire sul futuro.

Mai come oggi, se si vuol dare contenuto e prospettiva all’innovazione, le imprese e gli istituti di ricerca devono primariamente investire nell’acquisizione, nello sviluppo e nell’applicazione di know-how; le informazioni, pertanto, diventano la moneta di scambio nell’economia della conoscenza. Tuttavia, molti di questi attori, in particolare PMI, ancora non comprendono a pieno il valore strategico ed economico correlato al possesso ed allo sfruttamento dei titoli di proprietà industriale.

Per tale motivo, il D.M. Mi.Se. del 23.06.2021 si pone l’obiettivo di potenziare e facilitare l’accesso agli strumenti per la valorizzazione della proprietà industriale e permettere alle imprese di sfruttare al meglio i risultati tecnologici ed i vantaggi competitivi conseguiti attraverso gli investimenti in ricerca e sviluppo. Tali contenuti vengono elaborati nel citato decreto in coerenza con quanto indicato nel già richiamato Piano di azione della Commissione UE “Sfruttare al meglio il potenziale innovativo dell’UE – Piano di azione sulla proprietà intellettuale per sostenere la ripresa e la resilienza dell’UE”, adottato il 25 novembre 2020.

Una politica volta a facilitare l’accesso ai brevetti ed alle relative conoscenze non può non comprendere azioni specifiche sui SEPs. L’interazione tra brevetti essenziali e produzione legislativa è fondamentale per l’innovazione e la crescita economica. Le norme garantiscono che tecnologie interoperabili godano di un’ampia diffusione tra le imprese e i consumatori a condizioni eque e ragionevoli; dall’altra parte la tutela brevettuale funge da incentivo per la ricerca e lo sviluppo e garantisce ad imprese ed innovatori la possibilità di ottenere adeguate forme di ritorno sugli investimenti. Partendo da questi assunti, il decreto profila specifici interventi atti a garantire un accesso agile e veloce alle nuove tecnologie essenziali, come di seguito riportato.

Sul tema dei “brevetti essenziali” (gli standard essential patents -SEPs) l’Amministrazione, per quanto di competenza, seguirà con continuità i lavori promossi dalla Commissione europea (DG Grow), che tengono conto dei risultati degli studi UE effettuati in materia, delle recenti consultazioni e incontri con gli stakeholder pubblici e privati, nonché delle attività del gruppo di esperti UE sui SEPs. I lavori della Commissione hanno l’obiettivo di migliorare nel mercato interno la trasparenza a favore dei diversi attori economici che intervengono nel processo di licensing dei brevetti essenziali e favorire l’accesso ai SEPs a condizioni FRAND (Fair, Reasonable and Not Discriminatory) all’interno di una filiera produttiva da parte delle imprese interessate alla loro implementazione, ivi incluse le PMI, arginando i rischi di abuso di posizione dominante o atti di concorrenza sleale da parte dei titolari dei SEPs. Considerato che tale materia, per le sue dirette implicazioni sulle condizioni di accesso al mercato, presenta prevalentemente aspetti connessi al diritto della concorrenza, si intende promuovere la costituzione di un gruppo di lavoro che veda la partecipazione dei maggiori attori istituzionali coinvolti a livello nazionale, avviando un dialogo con il settore privato, al fine di contribuire a definire una posizione condivisa sul tema da rappresentare a Bruxelles, nella prospettiva di promuovere un sistema più affidabile e trasparente per la concessione di licenze.

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