L'orrore di San Vittore

Man Behind BarsIn Italia ci sono tante, troppe cose che non vanno ed è difficile star dietro a tutto con lo stesso interesse e con la medesima preoccupazione. Vi sono poi situazioni che ci provocano indignazione ma da cui siamo e ci sentiamo fisicamente e mentalmente lontani; pertanto, la relativa empatia che si può instaurare in relazione ad una di questa problematiche, può risolversi nell’istante in cui si legge una notizia sconvolgente e si pensa lì per lì “che vergogna, che orrore”. Dopodiché il nulla, la vita regolare continua.La questione del mal funzionamento delle carceri italiane è da tempo un dato di fatto, un problema annoso e scomodo. A volte è tenuto in poca considerazione dal grande pubblico o dalla grande informazione, sia perché esistono sistemi carcerari esteri con difficoltà più clamorosi, come ad esempio quello latinoamericano, sia perché per chiunque di noi che non ha avuto un’esperienza diretta sembra comunque, al di là dello sdegno e della indignazione circostanziali, qualcosa di lontano, da guardare con un certo, naturale distacco.Di recente il Corriere della Sera ha pubblicato una lettera scritta da F.C, ex imprenditore vittima di un errore giudiziario, costretto a 42 giorni di detenzione presso il carcere fatiscente di San Vittore, situato in pieno centro a Milano. Da uomo libero questo signore ha sentito la necessità ed il dovere di testimoniare la sua esperienza, raccontando quello che altrimenti nessuno avrebbe saputo: l’immobilismo, la lentezza, l’omertà ed il degrado che regnano sovrani in una struttura vecchissima, sporca e sovraffollata, ma anche l’umanità e la solidarietà dimostrate dalla gente che vive quell’ambiente, vista dall’esterno come feccia della società, ma che in realtà è meritevole di una gratitudine eterna.Tutto è una conquista, scrive F.C, all’interno dei raggi carcerari, a partire dalle cose che per noi sono banali e usuali, come una doccia, una visita medica, una passeggiata. Nulla è scontato per coloro i  quali vivono ammassati in una cella di 15 mq eccetto che per due o tre ore al giorno, in spazi di cemento circondati, a loro volta, da mure di cemento.Esistono piccole biblioteche ma vi si può accedere solo se c’è personale e lo stesso vale per il barbiere, disponibile solo una volta a settimana per ogni raggio del carcere; non c’è lavoro, fulcro del processo rieducativo.F.C. denuncia che nei giorni della sua detenzione solo dieci persone per ogni raggio erano impegnate in lavori dalle 7.30 del mattino fino alle 17.00 ma la retribuzione era relativa unicamente a tre ore. Lo stipendio medio era circa di 250 euro al mese: cifra dalla quale venivano sottratti i costi di eventuali errori nello svolgimento del proprio compito.Vengono utilizzati gli stessi carrelli per distribuire il cibo e per trasportare la spazzatura, ragion per cui le malattie proliferano. Bisogna razionalizzare le vivande perché non sono disponibili per tutti. È possibile fare la spesa da una lista di prodotti tramite la compilazione di un modulo ma spesso ciò che viene richiesto non è disponibile. Per questo motivo, frequenti sono fra i detenuti lo scambio di alimenti e favori. Se si vogliono lavare i panni, lavarsi e cucinare, bisogna comprare il necessario con i propri soldi poiché il carcere non mette a disposizione nulla; chi non può permetterselo può sopravvivere solo grazie alla solidarietà di chi lo circonda.La presenza di polizia penitenziaria, senza la quale non si può far nulla, è ridotta all’osso e non vi sono altri sistemi al di fuori delle grida per richiamare l’attenzione del personale di controllo. Il medico non è disponibile di domenica e nei festivi: in questi stessi giorni non ci si può lavare.Lo spazio per i colloqui non è adeguato: spesso ci si trova in trenta persone in stanze di circa 20 mq dove è difficile capire e lasciar intendere.Tanti sono rinchiusi lì dentro. Innocenti e non, poco importa. Sono tutti uomini in attesa di giudizio, dotati di esigenze e diritti. Si ritrovano privati delle singole libertà individuali: è questa la loro punizione.Viene loro negato il diritto di gestire le loro giornate, la loro vita, come meglio credono. Queste persone si trovano in carcere anche e soprattutto perché devono essere riabilitate in prospettiva di un reinserimento futuro nella società, cosa che può avvenire solo attraverso un trattamento dignitoso e producente.L’art. 27 della nostra Costituzione dichiara che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Rieducare anzitutto prima che punire. Non perdiamo mai di vista l’umanità.

 

 

Michela Graziosi

 

 

 

 

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