L’IMPOSIZIONE DELLE RICCHEZZE GENERATE NEL METAVERSO

Le questioni legate alle dichiarazioni fiscali dei redditi generati e delle operazioni effettuate dalle imprese virtuali e dagli avatar qualora abbiano riflessi nella dimensione fisica.

L’evoluzione digitale della società ha incoraggiato e ampliato l’interazione tra gli individui e generato innovativi tipi di business per le imprese. Si affacciano ora nuovi mondi, quelli virtuali, e si discute ormai di Metaverso, termine che indica un universo sviluppato tridimensionalmente, che sfrutta la tecnologia delle blockchain, delle identità digitali e dei sistemi di governance decentralizzati, dove le persone possono interagire attraverso avatar. Tale trasposizione reale/virtuale pone delle questioni connesse all’imposizione dei redditi generati al suo interno dalle imprese virtuali e dagli avatar qualora essi abbiano riflessi nella dimensione fisica considerato che si rilevano delle criticità legate alla loro dichiarazione.

La tecnologia informatica connessa alla realtà virtuale è in rapida espansione e nel Metaverso consente alle persone di svolgere, attraverso avatar modellati a proprio piacimento, tutte quelle attività, ludiche o lavorative, che oggi sono compiute solamente nella dimensione fisica.

Se sono ancora parzialmente in fase di studio le regole relative al trattamento fiscale delle cosiddette “valute virtuali”1, sia a livello internazionale con il documento, in pubblica consultazione, dell’OCSE “Crypto-Asset Reporting Framework and Amendments to the Common Reporting Standard”2, sia sul versante nazionale con il DDL n. 2572 del Senato del 30 marzo 2022 rubricato “Disposizioni fiscali in materia di valute virtuali e disciplina degli obblighi antiriciclaggio”3, oggi sfuggono all’imposizione i redditi generati, con riguardo alle attività d’impresa e alle persone fisiche, in quella dimensione. In alcuni casi, però, possono avere riflessi nella realtà dove gli utenti beneficiano dell’erogazione dei servizi indivisibili rivolti alla collettività e alle cui spese devono concorrere in proporzione alla loro capacità contributiva.

La prima questione da esaminare è legata all’identificazione dell’impresa operante nel Metaverso e dei suoi titolari effettivi, così come delle persone fisiche che ivi si proiettano attraverso gli avatar.

In secondo luogo sorge la necessità di determinare un valido criterio di collegamento e, quindi, i connessi requisiti, che possano consentire di individuare quale giurisdizione abbia il diritto di esercitare il potere impositivo sui redditi prodotti nella dimensione digitale. La terza questione, infine, è legata all’esposizione, nei bilanci e nelle dichiarazioni, dei valori espressi in token.

A tal proposito, si deve considerare che già avvengono cessioni o locazioni di NFT (Non Fungible Token) regolate da smart contracts, attività che generano profitti allorché le due dimensioni interagiscono, e che, secondo quale bene rappresentano detti asset, potrebbero rientrare tra quelli da dichiarare.

Considerato che da anni, ormai, le cripto-attività sono entrate nella vita quotidiana degli individui e, ancora oggi, si cerca di trovare alcune direttrici comunemente accettate per indicare l’an e il quantum debeatur, le considerazioni che si andranno a sviscerare hanno l’intento di far acquisire quanto prima la consapevolezza dei “nuovi mondi” dai quali le persone potrebbero ricavare profitti che necessitano di scontare le imposte per contribuire ai costi della società in cui vivono, affinché non vi siano i medesimi ritardi rilevati in materia di cripto-asset.

Il termine “Metaverso” indica uno spazio tridimensionale virtuale, condiviso tramite la rete, in cui il mondo reale e quello digitale sono integrati utilizzando tecnologie informatiche come la realtà virtuale (VR – Virtual Reality) e la realtà aumentata (AR – Augmented Reality), accessibile attraverso visori virtuali e app.

Gli individui, impersonificati dagli avatar modellati a proprio piacimento per rappresentarli nella comunità virtuale, potranno incontrarsi, comunicare, socializzare, giocare, lavorare, investire e generare contenuti, secondo le regole dettate dal creatore di quello spazio metafisico.

Attualmente esistono più “metaversi” non connessi tra loro, i quali fanno capo ad alcune imprese del settore tecnologico. L’utente può accedervi da qualsiasi device e, dopo la registrazione senza che sia prevista la KYC (Know Your Customer), vivere la sua vita virtuale nello spazio prescelto.

L’idea è quella di sviluppare architetture informatiche tali da rendere interagibili le diverse realtà virtuali in modo tale da creare un unico Metaverso, un luogo virtuale aterritoriale di interazione degli individui, proprio come nella realtà, dove possono svolgere qualsiasi tipo di attività necessaria per guadagnare ricchezza da spendere in quell’universo per usufruire dei servizi ivi erogati o, convertendole in cripto-attività o moneta legale, nel mondo reale.

Le compravendite possono essere regolate con l’utilizzo delle rappresentazioni digitali di valore, ossia payment token, ovvero degli NFT (Non Fungible Token) trasferiti tramite transazioni sulla blockchain7, la quale ne garantisce l’immodificabilità.

Un NFT è un certificato digitale basato sulla tecnologia blockchain, rappresentativo di un bene (asset) non fungibile in quanto non replicabile e sostituibile, poiché possiede una sua specifica individualità. È identificato da una stringa esclusiva di numeri (hash) crittografata che ne consente l’unicità e la prova della riconducibilità al suo proprietario.

Un token è un asset digitale che può essere scambiato tra due parti senza che sia necessaria l’azione di un intermediario e ne esistono essenzialmente di due tipi: quelli fungibili e quelli non fungibili. Entrambi sono distinti in diverse categorie secondo lo scopo, il ruolo, l’utilità e le caratteristiche.

Quelli fungibili sono token interscambiabili e possono essere sostituiti con altri della stessa tipologia poiché hanno caratteristiche similari, come ad esempio i payment utilizzati come mezzo di pagamento (le rappresentazioni digitali di valore); i security finalizzati all’investimento per ottenere vantaggi economici; gli utility conferiscono diritti d’uso di determinati prodotti o servizi e non generano benefici economici; gli equity rappresentano la proprietà di un bene, come il debito o il capitale sociale di una società, a tutti gli effetti titoli riscuotibili automaticamente sulla blockchain; gli hybrid raffigurano diritti di comproprietà ovvero una proprietà e diritti diversi.

Al contrario dei beni fungibili, quelli non-fungibili hanno la caratteristica di essere unici, non sostituibili, non ripetibili e non divisibili, poiché esiste solo un originale, ovverosia quel bene ha una proprietà distintiva che non permette uno scambio con qualcosa di simile.

Essi, dopo la loro creazione, possono essere posti in vendita nei marketplace e la transazione è regolata attraverso la cripto-attività prescelta, moneta legale ovvero tramite baratto. Nel momento in cui si definisce l’acquisto, nella blockchain viene registrata una prova immutabile che testimonia la transazione, legando indissolubilmente quel particolare token al suo nuovo proprietario. In sostanza, possono essere verificati, coniati, ceduti e acquistati con dati verificabili e i record di trading sono memorizzati in modo teoricamente persistente tanto che non possono essere manipolati una volta che le transazioni sono considerate confermate. Tutti possono, eventualmente, includere anche altri diritti e sono regolati da smart contracts. Questi ultimi incorporano clausole contrattuali codificate in un linguaggio informatico, in software o protocolli digitali. Sono auto realizzabili e irrevocabili, in sostanza danno esecuzione a ciò che è stato stabilito nella fase di programmazione, e la loro trasposizione può anche concludersi al di fuori della piattaforma informatica. A differenza di quelli tradizionali, però, non sono vincolanti in quanto non protetti dall’ordinamento giuridico in caso di inadempienza, ma sono comunque garantiti essendo che impediscono, ab origine, l’inadempimento delle parti.

I redditi percepiti nel Metaverso e trasferiti nella dimensione fisica, tanto da ivi generare una maggiore capacità contributiva, sfuggono attualmente all’imposizione in quanto non esistono norme, regolamenti o

documenti di prassi su come i contribuenti li debbano esporre nelle dichiarazioni fiscali e nei bilanci d’esercizio.

Il primo spunto di riflessione è quello relativo alla determinazione della sede delle imprese create nel Metaverso, luogo, per definizione, aterritoriale, quale criterio attualmente comunemente accettato per individuare quale giurisdizione possa vantare diritti impositivi, secondo l’art. 4 del modello OCSE e art. 73 del T.U.I.R.

Si potrebbero immaginare alcune soluzioni, ovverosia quelle di considerarle connesse al luogo ove è collocato il server dove è salvato il software del mondo digitale; è residente l’impresa o la persona fisica che sottostà alla creazione del software del Metaverso.

Una volta stabilito un collegamento con un territorio attraverso un criterio generale comunemente accettato per divenire soggetto passivo d’imposta di quello Stato, è possibile applicare le sue regole fiscali e stabilire il rapporto con le altre giurisdizioni secondo le regole internazionali e interne dei vari Paesi.

Nella considerazione che vi sono primordiali regolamentazioni e documenti di prassi già rilasciati in merito alla detenzione e agli investimenti delle cripto-attività e che queste sono assimilabili agli NFT in quanto entrambi sono token; sono soggetti a oscillazioni di valore secondo il mercato (per gli NFT da intendersi quale richiesta della piazza e, pertanto, varia in base a quanto è appetibile per gli investitori o appassionati e a quanto sono disposti a corrispondere per averli; possono essere acquisiti per finalità di investimento o utilizzati per pagare il corrispettivo dovuto ai fornitori virtuali e per il pagamento degli stipendi agli avatar, qualora utilizzati nell’esercizio svolto in modo professionale e abituale, ovvero in forma d’impresa, costituiscono un’attività rilevante agli effetti dell’IRES, dell’IRAP e dell’IVA, secondo quanto statuito negli artt. 54 e 55 T.U.I.R., art. 2 D.Lgs. n. 446/1997 e art. 1 del D.P.R. n. 633/1972.

In questo contesto, non ancora del tutto definito in quanto i referenti a livello nazionale e internazionale non hanno tuttora fornito delle regole per contabilizzare correttamente i token digitali nei bilanci d’esercizio delle imprese, tanto che è necessario sopperire a tale carenza attraverso applicazioni analogiche tenendo conto delle linee guida enunciate negli IAS/IFRS e negli O.I.C. esistenti.

Nel momento di valutazione finalizzato alla contabilizzazione dei token, a prescindere dalla natura che si attribuisce loro, è necessario domandarsi quale sia il loro utilizzo tra cash and cash equivalents; inventory; financial instruments or financial assets, nella considerazione che è la finalità per la quale si detengono che rileverebbe contabilmente.

Rivolgendo lo sguardo a ciò, si può citare la Risoluzione 2 settembre 2016 n. 72/E attraverso la quale l’Agenzia delle Entrate affermava che l’attività d’impresa, remunerata attraverso commissioni pari alla differenza tra l’importo corrisposto dal cliente che intende acquistare/vendere rappresentazioni digitali e la migliore quotazione reperita dalla società sul mercato, debba essere considerata, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, quale prestazione di servizi esenti ai sensi dell’art. 10, primo comma, n. 3), D.P.R. n. 633/1972.

Tale elemento di reddito, comunque, è sempre ascrivibile ai ricavi (o ai costi) caratteristici d’esercizio dell’attività di intermediazione e, pertanto, contribuisce quale elemento positivo (o negativo) alla formazione della materia imponibile soggetta a ordinaria tassazione ai fini IRES e IRAP al ricorrere dei suoi presupposti.

Fugato ogni dubbio che gli utili conseguiti siano soggetti a imposizione qualora abbiano riflessi nel mondo reale, le criticità sorgono allorquando è necessario rappresentare i token nel bilancio d’esercizio, in quanto, a seconda della riconosciuta natura o finalità debbono trovare collocazioni differenti ed essere, di conseguenza, trattati dissimilmente.

Qualora si assimilassero a cash and cash equivalents, avuto riguardo al profilo strettamente contabile, ne comporterebbe l’assoggettamento alle regole previste dall’O.I.C. 14, il quale ha lo scopo di disciplinare i criteri per la rilevazione, classificazione, valutazione nel bilancio delle disponibilità liquide, immediatamente utilizzabili per qualsiasi scopo della società, nonché le informazioni da presentare nella nota integrativa.

Esse, come previsto dall’art. 2424 c.c., sono rappresentate da depositi bancari e postali, assegni, denaro e valori in cassa tutti espressi in valuta corrente e iscritte alla voce dell’attivo circolante “C IV Disponibilità liquide”.

Le poste monetarie in valuta estera, se i token si ritenessero tali, sono convertite in bilancio al tasso di cambio a pronti alla data di chiusura dell’esercizio (O.I.C. 15 – Crediti). Le differenze su cambi sono imputate al conto economico nella voce “C17 – bis) utili e perdite su cambi”.

Una criticità rilevata è l’assenza di un sistema di rilevazione ufficiale, in quanto ogni mercato ha le sue logiche determinate dalla liquidità, dalla domanda e dall’offerta, cosicché si ritrovano vari siti web che forniscono quotazioni ufficiose e mostrano valutazioni medie. Il fair value resta, pertanto, intimamente connesso ai vari market place presi a riferimento per la conversione.

A latere, si deve ricordare che per la sua determinazione si è fatto riferimento all’IFRS 13 Fair value measurement, ovviamente nei limiti in cui le sue previsioni sono risultate coerenti con il disposto del codice civile. Il principale punto di divergenza, anche se per aspetti non particolarmente rilevanti, ha riguardato la definizione della sua gerarchia che trova una specifica disciplina nell’art. 2426, comma 4, del codice civile. Il fair value lo ritroviamo nei principi contabili ove è necessario valutare i valori da esporre nel bilancio d’esercizio e le motivazioni che sottintendono alle scelte e alle tecniche utilizzate per la sua determinazione nella nota integrativa.

L’O.I.C. 32 indica che la sua valutazione suppone che un’operazione abbia luogo nel mercato principale dello strumento finanziario derivato; in assenza di un mercato principale, nel mercato più vantaggioso per lo strumento finanziario derivato.

Il mercato principale o il mercato più vantaggioso in assenza di un mercato principale, è quello in cui la società normalmente effettuerebbe un’operazione relativa a uno strumento finanziario (derivato).

Nella risposta n. 14 del 28 settembre 2018, la Direzione Centrale dell’Agenzia delle entrate ha chiarito che il token, a fine esercizio, deve essere valutato in base al cambio in vigore a quella data e che tale valutazione assume rilievo ai fini fiscali ai sensi dell’art. 9 del T.U.I.R.

Nell’O.I.C. 26 (Operazioni, attività e passività in valuta estera) sono disciplinati, poi, i criteri per la rilevazione, classificazione e valutazione delle attività, passività e operazioni espresse in valuta estera, nonché le informazioni da presentare nella nota integrativa.

Nell’ipotesi di inventory, quale bene fungibile omogeneo, il cui valore è determinato dalla domanda e dall’offerta, avrebbero rilevanza le regole indicate nell’O.I.C. 13 (Rimanenze), il quale disciplina i criteri per la loro rilevazione, classificazione e valutazione.

Le rimanenze rappresentano beni destinati alla vendita o che concorrono alla loro produzione nella normale attività d’impresa. Il costo è il prezzo effettivo d’acquisto a cui vanno aggiunti gli oneri accessori, ex art. 2426, comma 1, numero 1, c.c.

I beni rientranti nelle rimanenze di magazzino sono rilevati inizialmente alla data in cui avviene il trasferimento dei rischi e benefici connessi al loro acquisto e ciò accade, generalmente, quando è trasferito il titolo di proprietà secondo le modalità contrattualmente stabilite. Esse sono valutate in bilancio al minore tra il costo di acquisto o produzione e il valore di realizzazione desumibile dal mercato, ex art. 2426, numero 9, c.c.

Il numero 10 del citato articolo, poi, ammette l’utilizzo di metodi di determinazione alternativi, indicando che “Il costo dei beni fungibili può essere calcolato col metodo della media ponderata o con quelli «primo entrato, primo uscito»; o «ultimo entrato, primo uscito»; se il valore così ottenuto differisce in misura apprezzabile dai costi correnti alla chiusura dell’esercizio, la differenza deve essere indicata, per categoria di beni, nella nota integrativa”.

Per valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato si intende la stima del prezzo di vendita delle merci e dei prodotti finiti nel corso della normale gestione, avuto riguardo alle informazioni desumibili dal mercato, al netto dei presunti costi diretti di vendita.

Le rimanenze possono essere oggetto di svalutazione quando il valore di realizzazione desumibile è minore di quello contabile.

L’art. 2424 c.c. prevede che quelle di magazzino relative alle merci siano iscritte nell’attivo dello stato patrimoniale alla voce “CI, 4) prodotti finiti e merci”. La successiva disposizione indica che gli acquisti di merci sono rilevati tra i costi di produzione, alla voce “B6” e la loro variazione è compresa nella voce “B11”. Le loro svalutazioni sono rilevate a rettifica diretta dei pertinenti valori iscritti all’attivo. Le relative componenti negative o positive di conto economico si riflettono nella voce “B11 – variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci”.

Qualora i token fossero considerati beni non fungibili, ovvero prodotti e mantenuti distinti per specifici progetti, il valore deve essere calcolato impiegando distinte individuazioni dei loro costi specifici. Detto criterio, però, può essere adottato solo se le voci delle rimanenze non sono intercambiabili.

L’utilizzo dei token quali financial instruments or financial assets comporterebbe l’assoggettamento alle regole previste dal O.I.C. 20, il quale disciplina i criteri per la rilevazione, classificazione e valutazione dei titoli di debito, ovvero quelli costituiti da titoli che attribuiscono al possessore il diritto a ricevere un flusso determinato o determinabile di liquidità senza attribuire il diritto di partecipazione diretta o indiretta alla gestione della società che li ha emessi. In tale ambito rientrano i titoli emessi da Stati sovrani, le obbligazioni emesse da enti pubblici, da società finanziarie e da altre società, nonché i titoli a questi assimilabili; O.I.C. 21, il quale disciplina i criteri per la rilevazione, classificazione e valutazione delle partecipazioni, ovvero gli investimenti nel capitale di altre imprese.

In sintesi, i titoli di debito sono esposti nello stato patrimoniale nell’attivo immobilizzato o nell’attivo nelle voci, rispettivamente, “BIII3) – altri titoli” o “CIII6) – altri titoli” a seconda che siano destinati a permanere durevolmente nel patrimonio aziendale (immobilizzazioni) o meno (circolante).

Gli utili o le perdite che derivano dalla negoziazione dei titoli, possono essere immobilizzati prima della naturale scadenza quale differenza tra il valore contabile iscritto tra le immobilizzazioni finanziarie e il prezzo di cessione, si registrano alternativamente nella voce “C16b) – altri proventi finanziari da titoli iscritti nelle immobilizzazioni che non costituiscono partecipazioni” ovvero “C17 – interessi e altri oneri finanziari”. L’eventuale svalutazione durevole deve essere esposta nella voce “D19b) – svalutazioni di immobilizzazioni finanziarie che non costituiscono partecipazioni”; non immobilizzati, corrispondenti alla differenza tra il valore contabile e il prezzo di cessione, si iscrivono nella voce “C16c) – altri proventi finanziari da titoli iscritti nell’attivo circolante che non costituiscono partecipazioni”, se componenti positivi, ovvero nella voce “C17 – interessi e altri oneri finanziari”, se negativi. L’eventuale svalutazione è esposta nella voce “D19c) – svalutazioni di titoli iscritti nell’attivo circolante che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie”.

Con riguardo alle partecipazioni, sono esposte nello stato patrimoniale nelle immobilizzazioni o nell’attivo circolante. La classificazione prevista dall’art. 2424 c.c. per quelle immobilizzate da inserire nella voce “BIII) Immobilizzazioni finanziarie” o “CIII) Attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni” a seconda della destinazione.

I proventi dell’investimento in partecipazioni costituiti dai dividendi sono collocati nella voce “C15) proventi da partecipazioni”, non rileva, ai fini della classificazione, il fatto che la partecipazione sia iscritta nelle immobilizzazioni o nell’attivo circolante.

Gli utili o le perdite che derivano dalla loro cessione, quale differenza tra il valore contabile e il prezzo di cessione, sono iscritti rispettivamente nella voce “C15) proventi da partecipazioni” e nella voce “C17) interessi e altri oneri finanziari”. Le spese di cessione si rilevano autonomamente nel conto economico in base alla loro natura, senza contribuire al saldo dell’eventuale plus/minusvalenza derivante dal realizzo.

A latere si segnala che non vi sono indicazioni di riferimento che possano disciplinare specificatamente le operazioni permutative nel caso in cui i token si assimilassero a beni che attribuiscono utilità a chi li detiene grazie al suo valore di scambio.

L’O.I.C. 16, però, chiarisce che la permuta di un bene con un altro, se nella sostanza realizza un’operazione di acquisto e vendita, è determinata in base al presumibile valore di mercato attribuibile al bene ricevuto alla data di acquisizione.

Tale valore misura la plusvalenza o minusvalenza realizzate rispetto a quello netto contabile del bene dato in permuta. Nel caso in cui un’immobilizzazione materiale sia acquisita fornendone a parziale pagamento un’altra, non di analogo valore e caratteristiche, questa è stimata al suo presumibile valore di mercato salvo tener conto degli eventuali conguagli in denaro ai quali si dovrà fare riferimento ai fini della determinazione delle plusvalenze o minusvalenza conseguite.

Qualora, per contro, se la permuta non realizza una compravendita, ma è posta in essere per procurare la disponibilità di un cespite di analoghe caratteristiche funzionali senza l’obiettivo di conseguire un componente positivo di reddito, il valore d’iscrizione dell’immobilizzazione materiale acquisita è pari a quello contabile netto di quella ceduta, come nel caso di permuta di un’immobilizzazione materiale destinata alla produzione in sostituzione di una simile con analoga destinazione.

L’assimilazione dei token agli intangibles, quali beni non monetari, individualmente identificabili, privi di consistenza fisica e, di norma, rappresentativi di diritti giuridicamente tutelati, li sottoporrebbe alla disciplina esposta nell’O.I.C 24. In questo caso, il loro valore andrebbe rilevato nella voce “BI – 4) concessioni, licenze, marchi e diritti simili” o “BI – 7) altre”, esplicitando i criteri per la loro determinazione e ogni altra utile informazione nella nota integrativa.

Allorché un bene immateriale è ceduto, l’eventuale differenza tra il valore netto contabile e il corrispettivo della cessione, cioè la plusvalenza o la minusvalenza realizzata, va rilevata nel conto economico nelle voci, rispettivamente, “A5 – altri ricavi e proventi” ovvero “B14 – oneri diversi della gestione”.

Con riguardo all’IVA, al fine di determinare il corretto trattamento, è necessario attribuire uno status legale ai token e tenere conto dei business delle imprese.

Tutti i servizi che ruotano intorno al loro ecosistema, generalmente, richiedono delle commissioni che saranno imponibili ai fini IVA naturalmente quando, ai sensi dell’art. 2, paragrafo 1, lettera c), della Direttiva IVA, le transazioni siano eseguite da un soggetto passivo. La base imponibile, se espressa in rappresentazioni digitali di valore, deve essere convertita in una valuta a corso legale nel momento in cui ha luogo la transazione.

Per il Fisco, quando i token hanno finalità prettamente di mezzo di pagamento, l’attività remunerata attraverso commissioni, pari alla differenza tra l’importo corrisposto dal cliente che intende acquistare/vendere i cripto-asset e la migliore quotazione reperita sul mercato, deve essere considerata ai fini IVA quale prestazione di servizi esenti ai sensi dell’art. 10, comma 1, n. 3), del decreto IVA; mentre saranno soggetti all’imposizione diretta i componenti di reddito derivanti dall’attività di intermediazione nell’acquisto e vendita, al netto dei relativi costi inerenti a detta attività.

Qualora i token siano assimilati a merci o prodotti (proprietà intangibile come software, musica, testo, immagini, video e suoni, archiviati in forma digitale), ai fini IVA sarebbero considerati un servizio fornito elettronicamente di cui al D.Lgs. n. 83/2021, che recepisce gli articoli 2 e 3 della direttiva Ue n. 2017/2455, in materia di imposta sul valore aggiunto per le prestazioni di servizi e le vendite a distanza di beni nel settore dell’e-commerce B2C (Business to consumers), e le disposizioni della direttiva Ue n. 2019/1995 sulle vendite a distanza e su alcune cessioni nazionali di beni.

Infine, per quanto concerne l’individuazione della corretta aliquota IVA, sino al 30 giugno 2021, l’impresa italiana che vende prodotti on-line, con superamento della soglia, al fine di individuare la corretta aliquota Iva da applicare si avvale normalmente del consulente estero incaricato di gestire la posizione IVA locale. A partire dal 1° luglio 2021, potendo chiudere le posizioni IVA aperte nei vari Paesi Ue, salvo diverso incarico al consulente estero, verrà a mancare il suo supporto, salvo specifico accordo con il consulente estero.

Muovendo le mosse dal fatto che una persona, tramite il suo avatar, potrebbe svolgere tutte le attività quotidiane che normalmente compie nel mondo reale, necessiterebbe di fondi, sotto forma di cripto-attività o di NFT, da corrispondere per l’acquisto di beni e servizi da godere nel Metaverso.

Questi potrebbero essere ottenuti acquistandoli con denaro accumulato nel mondo reale ovvero svolgendo un lavoro, sia quale dipendente che nella forma autonoma, in quello digitale.

Dette forme di remunerazione, ulteriormente, potrebbero essere convertite in moneta legale20 o detenute dal contribuente con riflessi sulla maggiore capacità contributiva che acquisirebbe nella dimensione fisica grazie alle attività compiute dal suo avatar.

È necessario, dunque, porsi degli interrogativi in relazione alle modalità dichiarative dei redditi prodotti in quella dimensione dalla persona fisica.

La prima questione da affrontare è quella relativa al collegamento con un territorio relativamente alle persone che si celano dietro gli avatar affinché possa essere applicata la disciplina fiscale di quella giurisdizione. Tale operazione si fonderà esclusivamente sulla collaborazione del contribuente, considerato che non sono previsti obblighi di identificazione o KYC per generare un avatar.

In aggiunta sorgono alcune criticità con riguardo alla compilazione della dichiarazione relativamente alle ricchezze ottenute nella dimensione virtuale, naturalmente allorquando queste siano trasferite in quella reale aumentando la capacità contributiva della persona fisica impersonificata dall’avatar e, quindi, il suo dovere di dichiararle all’Erario nei casi previsti dalla normativa fiscale.

Si sa che i redditi di lavoro dipendente sono esposti nel quadro RC e sono connessi alla certificazione rilasciata dal sostituto d’imposta. Nel Metaverso non sarà facile ottenerne una da un’impresa virtuale ivi attiva, seppure ci sarà sempre una persona sottostante residente in uno Stato alla quale fare riferimento sempreché decida di rendersi “pubblica”.

La Direzione Centrale dell’Agenzia delle Entrate, nella risposta n. 14 del 28 settembre 2018, chiarisce il trattamento fiscale da riservare ai compensi erogati nella forma di token, evidenziando che i redditi di lavoro dipendente di cui all’art. 49 del T.U.I.R., nonché quelli assimilati di cui al successivo art. 50, comma 1, lettera c-bis, sono disciplinati, ai sensi dell’art. 51, comma 1, dal principio di onnicomprensività, in applicazione del quale costituiscono reddito imponibile per il dipendente, ovvero per l’amministratore di società “… tutte le somme ed i valori in genere a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”.

Il successivo comma 3 prevede, poi, che “Non concorre a formare il reddito il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati se complessivamente di importo non superiore nel periodo d’imposta a lire 500.000 (euro 258,23); se il predetto valore è superiore al citato limite, lo stesso concorre interamente a formare il reddito”.

In sostanza, l’erogazione, da parte del datore di lavoro, di token costituisce reddito di lavoro dipendente da assoggettare a ritenuta d’acconto ai sensi dell’art. 23 del D.P.R. n. 600/1973, sempreché il valore di tale forma remunerativa superi, per ciascun percettore, nel periodo d’imposta, euro 258,23.

Qualora tali “utilità” siano percepiti da soggetti non legati all’impresa da alcun rapporto lavorativo, l’erogazione si configurerà come una cessione, pertanto suscettibili di generare un reddito diverso ai sensi dell’art. 67, comma 1, lettera c-quater), del T.U.I.R. da indicare nel quadro RT applicando l’imposta sostitutiva.

Analogamente, è possibile che l’avatar avvii un’attività abituale di arti e professioni da cui si ottengono i proventi (comma 1 dell’art. 53 del T.U.I.R.) che il contribuente dovrà esporre nel quadro RE o quelli da evidenziare nel rigo RL15 derivanti da attività di lavoro autonomo, anche se svolte all’estero, non esercitate abitualmente; ottenga redditi da esporre nel quadro RM, quali, ad esempio, quelli “diversi” come le plusvalenze.

Nel Metaverso, in aggiunta, è possibile immaginare di effettuare attività di baratto o permuta di cripto-attività o NFT, che, qualora generassero un guadagno, determinerebbero un reddito diverso legato a una vendita occasionale, così come disciplinato dall’art. 67, comma 1, lett. i), T.U.I.R.

La plusvalenza è calcolata, ai sensi dell’art. 71, comma 2, come differenza tra l’ammontare percepito nel periodo d’imposta e le spese specificamente inerenti alla sua produzione.

Allorché l’acquisto di token dovesse assumere la funzione di investimento di natura finanziaria, il contribuente dovrà tassare l’eventuale differenza attiva realizzata secondo le previsioni contenute nell’art 67, comma 1 lett. c-ter, T.U.I.R. nella categoria “redditi diversi”, qualora siano considerati prodotti finanziari; lett. c-quinquies, T.U.I.R, nel caso che siano ritenuti strumenti finanziari il cui risultato dipende da un evento incerto.

I token potrebbero poi rientrare nella previsione del già citato art. 67, comma 1, c-quater) T.U.I.R., per il quale sono redditi diversi quelli “comunque realizzati mediante rapporti da cui deriva il diritto o l’obbligo di cedere od acquistare a termine strumenti finanziari, valute, metalli preziosi o merci ovvero di ricevere o effettuare a termine uno o più pagamenti collegati a tassi di interesse, a quotazioni o valori di strumenti finanziari, di valute estere, di metalli preziosi o di merci e ad ogni altro parametro di natura finanziaria”.

Le varie plusvalenze sono determinate secondo i criteri esposti nell’art. 68 T.U.I.R. a seconda della natura attribuita in funzione della finalità che ne ha determinato l’acquisto, la detenzione e la cessione.

I redditi derivanti dalle “cessioni di partecipazioni non qualificate, partecipazioni qualificate, obbligazioni e altri strumenti che generano plusvalenze di cui all’art. 67, comma 1, lett. da c)-bis a c)-quinquies del tuir” devono essere dichiarate nel quadro RT (“Plusvalenze di natura finanziaria”), Sezione II del modello Unico PF.

L’imposizione, quindi, avverrà al momento del realizzo della plusvalenza tramite autoliquidazione, con l’applicazione dell’imposta sostitutiva prevista dall’art. 5 del D.Lgs. n. 461/1997 (regime dichiarativo)23, il quale, al comma 4, prevede che sia corrisposta mediante versamento diretto nei termini e nei modi previsti per quello delle imposte sui redditi dovute a saldo in base alla dichiarazione.

E’ fatta salva l’opzione esercitabile indicata nel successivo art. 6 (Opzione per l’applicazione dell’imposta sostitutiva su ciascuna plusvalenza o altro reddito diverso realizzato), ma solo in presenza di uno stabile rapporto con i soggetti ivi indicati residenti in Italia ovvero con stabili organizzazioni dichiarate sul territorio nazionale dai soggetti non residenti.

Per determinare il valore dei prodotti finanziari si deve considerare quello pari alla quotazione rilevata al 31 dicembre o al termine del periodo di detenzione con le modalità già esposte relativamente ai market place; nel caso in cui siano ceduti quelli appartenenti alla stessa categoria, acquistati a prezzi e in tempi diversi, per stabilire quale di essi è detenuto nel periodo di riferimento, il metodo da utilizzare è il cosiddetto “L.I.F.O.” e, pertanto, si considerano “out” per primi quelli acquisiti in data più recente.

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