L’epilogo del Boss

Lo chiamavano Binnu u’Tratturi (Bernardo il trattore) ma per tutti era il capo di Cosa nostra Bernardo Provenzano. thumbnail_untitledDa anni gli era stato diagnosticato un cancro alla vescica e il 13 luglio 2016 nell’ospedale San Paolo di Milano il boss ha perso la sua ultima battaglia contro la malattia. Terzo di sette figli da una famiglia di agricoltori nasce a Corleone il 31 gennaio 1933 e presto (abbandona la scuola senza finire la seconda elementare) con il padre Angelo lavora come bracciante agricolo. Fu proprio durante questo periodo a gettare le basi di un uomo che poi sarebbe diventato quello per cui tutti noi lo conosciamo come uno dei più famosi capi mafiosi di tutti i tempi. Provenzano cominciò una serie di attività illegali, nello specifico il furto di bestiame e generi alimentari legandosi da quel momento al mafioso Luciano Leggio che subito lo affiliò nella cosca mafiosa locale. Il 6 settembre 1958 Provenzano partecipò ad un conflitto a fuoco contro dei mafiosi avversari di Leggio (Marco e Giovanni Marino e Pietro Maiuri) che rimasero feriti denunciando Provenzano per furto di bestiame e formaggio, macellazione clandestina e associazione a delinquere. Ma è con l’uccisione di Francesco Paolo Streva (10 settembre 1963) e per il porto abusivo di armi che inizia il lungo percorso di irreperibilità e la cosiddetta latitanza. Dopo l’arresto e la morte di Leggio Salvatore Riina e Bernardo Provenzano divennero i capi della famiglia di Corleone assumendosi così l’incarico da quel momento di prendere il suo posto. Ma è dal 1993 (quando Riina è arrestato) che Bernardo Provenzano è l’unico che farà da mediatore tra coloro che erano favorevoli alla continuazione degli attentati dinamitardi contro lo Stato (Bagarella, Brusca e i fratelli Graviano) e la parte contraria (La Barbera, Ganci, Cancemi e Motisi). Provenzano riuscì a stabilire le condizioni che gli attentati avvenissero fuori dalla Sicilia ma nel “continente” e dopo gli arresti di Bagarella, Brusca e Vitale attuò la cosiddetta “strategia della sommersione”. Dopo gli attentati del 1992-1993 Bernardo voleva rendere Cosa nostra invisibile, pertanto mirava a limitare sia gli omicidi sia le azioni eclatanti per non attirare l’attenzione da parte delle autorità con lo scopo di riprendere le sue attività “sotto banco”. E’ l’11 aprile del 2006 dopo 43 anni di latitanza Provenzano è arrestato in una masseria di Corleone; condannato a tre ergastoli gli viene applicato il regime del 41 bis. Dopo un anno di carcere a Terni a causa di alcuni malori viene trasferito a Novara, dove il boss tenta ripetutamente di comunicare con l’esterno attraverso i pizzini. Nel marzo 2011 è confermata la notizia di un cancro alla vescica e del suo trasferimento nel carcere di Parma; il 9 aprile 2014 per l’aggravamento delle sue condizioni di salute viene ricoverato all’ospedale di San Paolo di Milano dove ci resterà fino alla fine dei suoi giorni. Solo la lunga malattia ha fermato un uomo che si è macchiato dei peggiori crimini e che ha lasciato scie di morti e di dolore quasi ad espiare ciò che aveva lasciato intorno a se.

Noemi Deroma

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