“Jeddah Diary”: ritratti di donne saudite

Olivia Arthur, oggi membro dell’agenzia fotografica Magnum, un tempo apparteneva al mondo astratto dei numeri, come lo testimonia la sua laurea in matematica ad Oxford. Tuttavia, da quando ha iniziato a collaborare col giornale studentesco come fotografa, ha scoperto di provare un maggiore interesse per il mondo reale, quello pulsante, fatto di eventi e persone.I primi lavori di Olivia hanno avuto come contesto e soggetto l’India variopinta, terra di odori speziati inebrianti e di ben note contraddizioni sociali. Inizialmente Olivia si è focalizzata sull’universo femminile senza soffermarsi ad analizzare le relative condizioni di vita. È stato in un secondo momento che ha deciso di far ritorno in India per esplorare la divisione in caste della società; poi si è spinta in Iran ed in Arabia Saudita, cominciando a lavorare, in una prospettiva assai più ampia ed articolata, su quella che è la condizione delle donne in Oriente ed Occidente, col fine di narrare i confini del corpo e della mente esistenti fra Europa ed Asia. I vissuti delle persone incontrate durante i vari viaggi hanno presto preso il sopravvento nella sua mente e nella sua anima ed è così che è nata la sua opera più famosa, “Jeddah Diary”, un libro di fotografie che esplora il ruolo delle donne nella società dell’Arabia Saudita.Quest’ultimo, si sa, non è un Paese semplice, tuttora in balia di istanze differenti, consuetudini ataviche e divieti di ogni genere imposti dal regime. 4oliviaarthur_short_presentation17L’Arabia Saudita costituisce una realtà complessa in cui tanti, troppi aspetti della vita pubblica ed intima sono tenuti sotto un rigido, tassativo controllo. Ma, come suggerisce la stessa Olivia, non bisogna generalizzare e fare di tutta l’erba un fascio: i contesti in cui la fotografa si è inserita le hanno infatti mostrato al contempo una certa chiusura ed una soddisfacente dose di libertà. Nella realtà saudita le macchine fotografiche non sono ben viste ma ad Olivia, in quanto donna e fotografa, le è stato permesso di entrare come ospite nelle case di donne e di raccontare dall’interno il loro mondo, con uno sguardo intimo e delicato.Questo progetto, portato avanti per due anni, rivela aspetti culturali che solitamente sono poco noti all’Occidente. Non è un caso se la prima foto del libro mostra una piscina di una casa sovrastata da un enorme muro. A tal proposito Olivia scrive: “Le prime cose che ho visto in Arabia Saudita sono state le enormi strade vuote e le case con mura estremamente alte. Tutto sembrava essere avvenuto da un’altra parte, al di fuori dalla visuale, dietro porte chiuse”. Con questo lavoro, di fatto, Olivia riesce a varcare un grande muro-limite e a descrivere quelle singole esistenze, specchio di una realtà più ampia, che altrimenti sarebbe rimasta nascosta.Ad essere fotografate donne singole o in gruppo, alcune con indosso l’abaya, altre solo con lo hijab come copertura dei volti: ciononostante, la loro individualità è forte e visibile, grazie ad accessori di moda ben individuabili, quali occhiali da sole, borse e scarpe. A situazioni di vita familiare in intimi contesti casalinghi si affiancano testimonianze di feste notturne in cui spiccano donne vestite alla occidentale, immortalate in danze o momenti di socializzazione: le luci colorate, il clima festoso e le belle gambe delle donne di alcune di queste foto sembrano contrastare con la mitica concezione per cui tutto ciò non è affatto permesso all’interno di questa cultura.Molte delle donne che sono state fotografate erano entusiaste all’idea della pubblicazione degli scatti eppure, in un secondo momento, è stata Olivia stessa che ha preferito non divulgare quei volti. Era difficile trovare una soluzione non invasiva al fine di proteggere l’identità delle sue modelle: avrebbe potuto oscurare i volti o tagliarli dall’inquadratura, ma ciò sarebbe equivalso a distruggere l’essenza degli scatti. Infine la fotografa ha scelto di stampare alcune foto e fotografarle nuovamente, facendo in modo che i visi venissero coperti da un leggero bagliore, grazie al quale è stato garantito un giusto equilibrio fra intimità dei soggetti ed anonimato degli stessi. In fin dei conti, è la loro presenza fisica e la loro singola identità a costituire il vero soggetto dello scatto, il cuore pulsante del progetto.

 

Michela Graziosi

 

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