Guida grafica alle immagini profilo

Doogie Horner, noto alle cronache per il suo libro: Il tutto spiegato attraverso i diagrammi (Harper Collins, 2010) è un designer, scrittore e comico statunitense che ha deciso di rprodurre in forma schematica il messaggio che filtra al “pubblico” attraverso al foto profilo di scelta come avatar di Facebook.

Tutti sono a conoscenza di quanto significativamente Facebook abbia impattato sulle moderne tecnlogie, così come la comunicazione in rete, l’aggregazione delle informazioni e lo stalking fra gli ex. Meno noto però, ma altrettanto profondo, è il suo impatto sull’arte. Proprio come la raffinatezza nella produzione di specchi portò ad un incremento nella richiesta di autoritratti durante il Rinascimento, la continua, inarrestabile invasione di Facebook nel mondo occidentalizzato ha portato ad un nuovo rinascimento fotografico considerevole proprio per il fatto di essere stato originato dalle persone stesse, le quali non saprebbero nemmeno riconoscere l’arte di cui sopra se gli venisse chiesto esplicitamente. Questi impiegati, e teenagers annoiati hanno rimpiazzato gradualmente sconvolto i canoni “classici” dell’autoscatto; pur essendo totalmente privi di formazione artistica (ed ad alcuni è possibile che manchi anche il desiderio di crearla).1

Comunque, in questa umiltà, è emerso un complesso genere di dialogo visuale ad hoc, il cui vocabolario unico rivela molto circa il mondo moderno. Come ogni forma d’arte, le immagini di Facebook hanno i loro –seppur pigri- tropi: l’autoscatto con la web-cam, il cielo blu come sfondo, l’accecante flash nello specchio del bagno. Ma anche questi scatti figliati dalla sconsideratezza lasciano trasparire involontarie intuizioni sul soggetto: come è ritagliata la foto? Possiamo vedere gli addominali? Ci sta mostrando il dito?

Questo diagramma potrà aiutare ad individuare le immagini di Facebook, inquadrandole in un più ampio contesto di genere da cui evincere il carattere dominate del soggetto ed apprezzare dunque tutta la ricchezza che emerge dalla banalità e da quegli occhi così spenti e nebbiosi.

 

Giampaolo Giudice

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