I dilemmi del Labour (e del Regno Unito) in vista delle elezioni

Nella corsa al voto del 12 dicembre il leader laburista Jeremy Corbin ha deciso di giocare al rialzo. La posta in gioco è naturalmente rappresentata dalla guida del governo, sebbene queste elezioni – ancora più delle precedenti del 2017 – si intreccino con questioni cruciali come la Brexit (con o senza l’accordo), l’unità del Paese, le relazioni internazionali, il modello sociale. Stando ai sondaggi, l’attuale partito di governo, ossia il partito conservatore, manterrebbe la maggioranza con il 42%, mentre il Labour Party crollerebbe dal 41 al 30%. A guadagnare consenso dallo smottamento a sinistra, sarebbero il Partito Liberaldemocratico e i Verdi: il primo si attesterebbe attorno al 15%, mentre il secondo attorno al 4%. Volendo dar credito ai sondaggi, i cosiddetti Brexiter avrebbero una maggioranza ancora una volta debole, dal momento che all’interno degli stessi Tories l’uscita con o senza accordo (No Deal Brexit) crea discordia, con il primo Ministro Boris Johnson a sostegno dei falchi Hard Brexiter. L’uscita dalla UE mette in difficoltà anche i laburisti come è provato dal fatto che, in caso di vittoria, Corbin ha promesso un nuovo referendum senza schierarsi né a favore né contro. L’apparente neutralità del Labour, che secondo alcuni risponderebbe all’esigenza tattica di prendere i voti europeisti di Londra e di altre grandi città e quelli euroscettici delle aree rurali, rischia di produrre un effetto negativo, spostando il voto di chi vuole il Regno Unito in Europa verso le forze dichiaratamente pro UE come i libdem. Forse per compensare gli effetti deleteri della opacità sulla questione Brexit, che si può ancora tradurre nel quesito del referendum del 2016 ossia “stay or leave”, Jeremy Corbin ha scelto di spostare il partito a sinistra come nessun altro aveva osato fare in precedenza. D’altra parte, ricordiamo come la sua scalata al vertice sia stata caratterizzata dal Grande Rifiuto per la terza via di Tony Blair, stella polare del riformismo degli anni Novanta. Nell’ottica di Corbin e di altri leader di sinistra come ad esempio il candidato alle Primarie democratiche americane Bernie Sanders, liberismo e socialismo sono opzioni antitetiche, non vi è coincidenza tra gli interessi del lavoro e del capitale, i diritti sociali non possono essere ridotti alle politiche compassionevoli rivolte ai “perdenti” della globalizzazione. Le proposte messe in campo per questa tornata elettorale hanno fatto gridare molti giornali allo scandalo: per il Financial Times si tratta di una “mappa per realizzare il socialismo”; il Daily Telegraph lo bolla come “un manifesto marxista” e il Daily Mail parla addirittura di “una rapina da 83 miliardi nelle tasche dei contribuenti”. Il Programma politico “più radicale della Storia” prevede: 400 milioni di sterline in investimenti pubblici da reperire alzando le tasse ai più ricchi; la nazionalizzazione delle ferrovie, delle poste, dell’acqua, dell’energia; la costruzione di un milione di nuove case popolari; università, Wi-Fi, spese dentali gratis per tutti. La strada per ricostruire un robusto sistema di protezione sociale sembra essere irta di pericoli perché, a mettersi di traverso, non c’è solo la questione Brexit e l’ostilità di larga parte dei media, ma anche l’accusa infamante di antisemitismo rivolta a Corbin e ad altri dirigenti del Partito. Il j’accuse è partito dal rabbino capo Ephraim Mirvis, che guida la comunità ebraica britannica dal 2013 e che vede, nell’appoggio ai palestinesi nell’ambito dell’infinita questione mediorientale, la prova di sentimenti antiebraici. I tanti dilemmi del Labour renderanno le prossime elezioni un test di prima importanza per il Regno Unito e anche per noi.

Foto tratta da una.org.uk

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