DESTINAZIONE CONTRABBANDO…E RITORNO

Daniele Coppola ha 48 anni, un lavoro da operaio specializzato, tre figli e ancora tanti desideri da realizzare per il futuro.  Una vita normale agli occhi di chi lo conosce oggi, eppure, ogni tanto gli capita di voltarsi indietro e di ripensare al passato. Trascorso travagliato e difficile fatto di povertà e umiliazioni prima e di ricchezza ed esaltazione poi. Ma di poche flebili certezze. L’unica reale è che, ad un certo punto, la sua esistenza, è cambiata drasticamente. Non è guarito da una malattia, non ha cambiato sesso, ma ha fatto una scelta difficile per molti: ha deciso di abbandonare il malaffare ed i soldi facili, per ricominciare da cittadino onesto, dimostrando al mondo che una rinascita è possibile, per tutti, nessuno escluso. Quando nasci in un ambiente a rischio, è più facile che ti senta un condannato, ancor prima di esserlo realmente. Spesso, addirittura, ti senti obbligato a ripercorrere le orme di chi ti ha preceduto, giustificandolo e giustificandoti. Ma ogni regola ha la sua eccezione.

Siamo seduti in una caffetteria della periferia di Brindisi, una città bellissima, crocevia di traffici con l’Oriente, ma spesso anche di traffici illeciti di sigarette, droga, armi. Da bandito gli è rimasto solo lo sguardo, ma forse, solo per nascondere quella reticenza tipica di chi ha vissuto una vita al limite.

Com’era la tua famiglia d’origine?

“I miei genitori erano separati ed io e i miei fratelli siamo cresciuti in collegio, peraltro in posti differenti.

Sono stato un ragazzino venuto su in fretta, obbligato ad essere responsabile di me stesso fin dai primi anni della mia esistenza. Anni duri, nei quali mi è mancato l’affetto della famiglia. I compagni dell’istituto San Gioacchino di San Vito dei Normanni, sono stati il mio unico punto di riferimento.

Uscito dal collegio, poi, ho ricominciato le scuole medie, ma mi sono lasciato trasportare  dalle cattive amicizie non riuscendo a conseguire neanche la licenza media e iniziando a vivere come un vagabondo. Vivevo con mio padre e per bisogno, lo aiutavo in campagna, poi tornavo a casa ed ero costretto a cucinare, a lavare, a pulire. Da qui la mia ribellione.”

Come hai iniziato e che ruolo hai avuto nel contrabbando?

“A quindici anni, mio fratello per togliermi dalla strada, mi portò come si diceva all’epoca, alle sigarette (non a fare il contrabbandiere). Ero entusiasta anche perché nel quartiere già respiravo come fosse aria, come fosse normale, quel mondo. Sapevo cos’era marginalmente, ma non lo avevo mai fatto prima. Appena imparai a guidare, mi misero una

Alfa in mano ed entrai a far parte dei componenti delle colonne che trasportavano le bionde dopo lo scarico.”

Qual era la tua giornata tipo?

“Dormivo fino a tardi, poi mi recavo al bar per sapere se c’era da “lavorare” la notte.

Li, ci davano un orario ed un punto di riunione, per poi andare in posti sempre diversi e aspettare l’arrivo dello scafo da scaricare.

Quando non si lavorava per le cattive condizioni climatiche o per qualche avaria allo scafo,le mie giornate, oltre a dormire, le trascorrevo al bar con gli amici e poi nei locali notturni nei ristoranti, nelle discoteche: i soldi non mancavano mai, erano tanti, troppi per un ragazzo della mia età.

E comunque vivevo sempre di notte praticamente.”

Perché lo facevi?

“Certamente per i soldi facili e anche un po’ per gioco. Mi piaceva il gusto sadico di violare la legge, sfidandola con gli inseguimenti con le forze dell’ordine. Quella adrenalina mi faceva sentire vivo e la paura ancora di più. Forse volevo dimostrare a me stesso di essere qualcuno è di poter contare qualcosa.”

Raccontami un episodio in cui hai avuto paura.

“La prima volta che mi inseguirono sulle colline di Martina Franca. Ero il penultimo e non ci accorgemmo che a luci spente ci seguiva la finanza. Al passaggio da un incrocio illuminato ci rendemmo conto che nn eravamo sei, ma sette e dai li il fuggi fuggi. Spararono per farci fermare. Io tremavo, tremavo per la paura, ma non mollavo, fino a quando chi era dietro di me cambiò strada e la pattuglia seguì lui.

Furono minuti interminabili. Un mio sbaglio sarebbe stato fatale anche per chi mi seguiva: avremmo perso il carico e non potevamo permettercelo.”

Cosa pensi di te com’eri allora?

Uno scapestrato. Avrei potuto farmi male sul serio o addirittura perdere la vita come è accaduto, del resto, ad alcuni miei amici. Ho avuto fortuna e bravura, se così si può definire.”

Quando hai deciso di smettere e perché?

“Decisi di smettere quando ad un certo punto mi resi conto che non era più un gioco, come cercavo di far credere a ne stesso.

Più tempo passava più diventava difficile e pericoloso. Finché accadde quel brutto episodio nel quale persero la vita due esponenti delle fiamme gialle, vicino al santuario di Jaddico.

Sentire che erano morte delle persone che facevano davvero il loro mestiere per portare il pane a casa, mi colpì profondamente. Con fatica, dissi basta.

Il clima  cambiò improvvisamente inoltre. Ma forse ero cresciuto anche io se vogliamo dirla tutta. Avevo già moglie e non potevo immaginare che potesse capitare a me una cosa analoga.”

Se un tuo figlio prendesse una strada simile come ti comporteresti?

“Mi arrabbierei e farei di tutto per fargli capire che non è il modo giusto per vivere e per crearsi un futuro.

Quello che mi sento di dire ai giovani è di essere positivi e guardare al futuro con  fiducia. Di credere in loro stessi e non pensare che delinquere faccia vivere meglio. I soldi facili piacciono a tutti, ma non è il modo corretto di vivere. So che non è facile oggi giorno, ma il lavoro onesto è la sola cosa che da dignità. E anche se è complicato ottenerlo non bisogna smettere di crederci mai.”

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