Il crollo del muro di Berlino trent’anni dopo tra pulsioni estremiste e democrazia

Si racconta che i dirigenti della Germania dell’Est fossero stati colti di sorpresa dal crollo del muro di Berlino. Quel nove novembre del 1989, il muro più temuto e più famoso della Storia si sgretolava come un involucro di cartapesta, mentre l’economia pianificata dell’URSS naufragava. Era stato eretto nel 1961 per delimitare il perimetro di influenza dell’Impero Sovietico, ma anche per “intrappolare” le persone in fuga verso l’Ovest. Una grande firma del giornalismo come Bernardo Valli racconta su Robinson (n.152, 02/11/2019), inserto di Repubblica, che gli abitanti della DDR invasero l’altra parte della città per “esplorare, scoprire, frugare nei quartieri che, pur se divisi ventinove anni prima, erano casa loro”. L’altra Berlino, quella impenetrabile di Erich Honecker, si era trasformata in una periferia festante che invade il centro della Città. Per cogliere l’atmosfera che si respirava al di là del muro, sono attualissime le parole con cui Hannah Arendt descrive le caratteristiche peculiari dei totalitarismi nel suo celebre “Le origini del Totalitarismo” del 1966: “Il regime impone una specie di supersenso, che in realtà le ideologie avevano in mente quando pretendevano di avere scoperto la chiave della storia o la soluzione degli enigmi dell’universo. Al di sopra della insensatezza della società totalitaria è insediato, come su un trono, il ridicolo supersenso della superstizione ideologica”. L’autrice individua nell’intreccio perverso di “terrore e ideologia” uno dei tratti più evidenti del nazismo e del comunismo stalinista: “La curiosa logicità di tutti gli ismi – scrive Arendt – la loro fede ingenua nell’efficacia redentrice della devozione caparbia, senza alcun riguardo per i fattori specifici, racchiude già in sé i primi germi del disprezzo totalitario per la realtà e la fattualità”. Possiamo dunque tirare un sospiro di sollievo oggi, a distanza di trent’anni dal crollo dell’ultimo baluardo del totalitarismo nel cuore dell’Europa? Ancora sull’ultimo numero di Robinson, Timothy Garton Ash, storico e politologo, mette in guardia dal risorgere di idee reazionarie quando afferma che “con il crollo del Muro di Berlino, in Europa dell’Est ci fu una rivoluzione liberale e trent’anni più tardi siamo di fronte a un tentativo di controrivoluzione antiliberale”. Figure simbolo del nostro tempo che destano preoccupazione come Putin, Erdoğan, Trump, vengono viste come espressioni del profondo disagio causato dalla grande crisi del 2008, dalla globalizzazione, dalle profonde diseguaglianze tra Stati e all’interno degli Stati tra i diversi strati sociali. Nell’ottica dello storico americano Charles S. Maier, “oggi i muri tendono a separare il Nord dal Sud del mondo. Sono la risposta alla pressione creata dalle differenze economiche e ancora dai disordini civili e dalla violenza”. In questo quadro, i migranti, dipinti come invasori, diventano il bersaglio perfetto, il capro espiatorio ideale per ideologie come il sovranismo e il populismo, centrate sull’ideale di società chiuse e omogenee. I trent’anni dalla caduta del Muro rappresentano dunque un anniversario da celebrare oggi più che mai perché, come preconizzava Hannah Arendt, le pulsioni totalitarie “ci resteranno probabilmente alle costole per l’avvenire”.

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