Caso Marò. Una controversia infinita

maròLo scorso 10 gennaio l’Hindustan Times, quotidiano indiano in lingua inglese, ha pubblicato un articolo contenente una notizia piuttosto scioccante circa la sorte di Massimiliano La Torre e Salvatore Girone: “I due marò italiani, accusati di aver ucciso due pescatori del Kerala nel febbraio 2012, sono suscettibili di essere incriminati per reati punibili con la pena capitale”. Sembrerebbe infatti che la Nia (National investigation agency) abbia  “chiesto per il caso di La Torre e Girone un’incriminazione sotto la fattispecie della sezione 3, una norma che prevede la condanna a morte per qualsiasi persona abbia causato il decesso di un’altra”. Ma dal momento che il Ministro degli Esteri indiano, Salman Khurshid, aveva dato al governo italiano delle rassicurazioni sul fatto che i nostri connazionali non andassero incontro a tale rischio, la questione diventa di fatto sempre meno chiara. I due militari italiani sono accusati di aver ucciso i pescatori Ajesh Binki e Jelestine al largo delle coste del Kerala il 15 febbraio 2012. Della vicenda esistono due versioni discordanti. In un Atto della nostra Camera relativo a un’interrogazione dell’on. Fabio Evangelisti al Ministro Degli Affari Esteri il 20/02/2012, la cui risposta porta però la firma dell’allora Ministro della Difesa Giampaolo Di Paola, si legge: “Il giorno 15 febbraio 2012, alle ore 12.00 circa italiane, la petroliera italiana «Enrica Lexie» in trasferimento da Galle (Sri Lanka) a Gibuti, veniva avvicinata da un’imbarcazione da pesca, con a bordo cinque persone armate con evidenti intenzioni di attacco. I militari del battaglione San Marco – facenti parte del team di protezione a bordo (Nmp) – in accordo con le regole d’ingaggio in vigore, mettevano in atto graduali misure di dissuasione con segnali luminosi fino a sparare in acqua tre serie di colpi d’avvertimento, a seguito dei quali il natante cambiava rotta. La guardia costiera indiana comunicava, quindi, alla «Enrica Lexie» di avere fermato un’imbarcazione coinvolta nell’evento, chiedendo alla petroliera di tornare indietro per un riconoscimento dei presunti pirati. La «Enrica Lexie», avvertito l’armatore, invertiva la rotta per venire in contatto con la guardia costiera indiana, da cui era scortata nella rada di Kochi, nelle acque territoriali indiane. Successivamente, l’armatore della «Enrica Lexie» informava l’unità di crisi della Farnesina in merito ad una comunicazione del comandante della petroliera che riferiva dell’intenzione della guardia costiera indiana di salire a bordo”. I colpi sarebbero stati sparati dai Marò a scopo difensivo. Secondo la versione indiana invece, l’incidente avrebbe causato la morte dei due pescatori, nativi rispettivamente del Tamil Nadu e del Kerala, che erano imbarcati su un peschereccio impiegato in normali operazioni di pesca e non di pirateria. Tale discordanza ha aperto ovviamente una crisi diplomatica tra Italia e India, dopo che quest’ultima ha iniziato un’indagine per omicidio. Le nostre autorità sostengono la giurisdizione italiana sul caso, poiché il fatto sarebbe avvenuto in acque internazionali su una nave battente bandiera italiana, e inoltre i militari coinvolti sono italiani, operanti nell’ambito di un’operazione antipirateria raccomandata da norme internazionali. Secondo quelle indiane invece, l’incidente sarebbe avvenuto nella “fascia contigua”, in cui vigerebbe la giurisdizione dello stato costiero. Di fatto, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre sono stati arrestati, con l’accusa di aver ucciso i due pescatori e la controversia non è ancora giunta a conclusione. Lunedì la Corte Suprema indiana valuterà, sulla base della richiesta presentata dal governo italiano, se negare o meno la sua autorizzazione a perseguire i due marò italiani sulla base del Sua Act, la legge antiterrorismo che prevede anche la pena capitale. C’è poi il fattore ritardo nel processo, su cui si stanno rifacendo i legali dei due Marò. Secondo la petizione presentata da questi alla Corte, i due militari, in mancanza ancora della formalizzazione dei capi d’accusa del governo indiano, dovrebbero essere lasciati liberi di tornare in Italia. Solo tra qualche giorno sapremo l’esito della richiesta. Significative le parole isolate del Ministro degli Esteri indiano Salman Khurshid, che ha dichiarato alla Ndtv (Nuova Delhi Television Limited): «I due marò italiani possono avere ecceduto nelle loro funzioni, ma non sono terroristi». In tale caos diplomatico, ci permettiamo di fare alcune riflessioni. La prima è relativa alla possibile reazione da parte dell’Unione Europea qualora i marò fossero condannati a morte. Tale ipotesi sarebbe inaccettabile in quanto contraria a  tutti i principi dell’Unione Europea. Come ha specificato il vice presidente della Commissione europea Antonio Tajani: “l’Europa ha ottenuto il premio Nobel anche per il suo impegno contro la pena di morte, pertanto una scelta come questa, contro due marinai impegnati nella lotta contro la pirateria, sarebbe del tutto inaccettabile”. Quanto all’accanimento del governo indiano verso i due Marò, viene da pensare che tutta la questione sia in parte stata strumentalizzata dal paese asiatico al fine di mostrare all’Europa (al mondo sarebbe esagerato) che l’India è capace di far sentire la sua voce nel campo delle relazioni internazionali. Ma questa è solo una considerazione personale, sia chiaro.

 

Silvia Di Pasquale

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