Il carabiniere ucciso a Roma e l’incessante tormento del “sentito dire”

Alla morte di Mario Cerciello Rega, carabiniere di 35 anni e coniugatosi poco più di un mese fa, c’è stata una gran confusione. Il tam-tam del “sentito dire” ha fatto credere a tutti, per una giornata intera, che a uccidere il vicebrigadiere siano stati due nordafricani, mentre la storia è stata in realtà decisamente diversa.

Sono infatti stati due cittadini statunitensi a concorrere allo sviluppo della tragedia consumatasi nella notte di giovedì nel quartiere Prati, a Roma. In cerca di cocaina e truffati da uno spacciatore – italiano, contrariamente alle prime voci – hanno rubato la sua borsa e chiesto un “riscatto” di cento euro e un grammo della tanto agognata polvere bianca. Ma all’incontro previsto si sono presentati i carabinieri in borghese, contattati dallo stesso pusher derubato. E lì, purtroppo, la storia è andata come sappiamo.

Fa rabbia; ma fa, forse, altrettanta rabbia quanto avvenuto nelle ultime ventiquattr’ore, a cadavere ancora caldo e a indagini ancora in corso. Sull’ondata del peggiore neo-razzismo nostrano, si è data subito la “caccia al nero”: non si sono solo scatenati i consueti, remoti anfratti del peggiore Internet, ma anche le figure istituzionali. Matteo Salvini recitava, in giornata di venerdì, di come [chi viene a delinquere in Italia meriti] «lavori forzati in carcere finché campa», in barba a qualsiasi premessa di giusto processo. Luigi Di Maio, solitamente non a certi livelli, l’ha perfino superato proponendo una sconcertante ipotesi di «carcere a casa loro».

Ci sono state, purtroppo, molte ragioni mediatiche e politiche per essere particolarmente duri sul caso e andare subito a “coprire” la voce di quella supporter salviniana che era andata alla gogna dei social per aver gioito della morte di centocinquanta migranti al largo delle coste libiche, da lei definiti «mangime per pesci». Peccato che lo specchietto per le allodole, in questo caso, non abbia funzionato, nonostante gli ingredienti della ricetta – il servitore dello Stato ucciso da pericolosi migranti – fossero quelli giusti.

Mario Cerciello Rega, come riporta provocatoriamente Linkiesta, era un “buonista” ammazzato da due americani. Buonista, come va di moda dire oggi su Internet, poiché era da tutti ammirato e riconosciuto come una persona dal cuore d’oro, dedito al volontariato, e il suo martedì sera lo dedicava a fornire pasti caldi e abiti dismessi ai migranti che affollano, come un dormitorio, i degradati dintorni della Stazione Termini. Uno dei “nemici” di Salvini e compagnia, a voler usare questo termine, ucciso da due persone che invece alla categoria dei canonici “nemici” non appartenevano.

La morale della storia? Viviamo in periodi tormentati dal tam-tam del “sentito dire”, che diventa grave e gravissimo quando rimbalzato da figure istituzionali del calibro di ministri, e che rasenta il reato quando si discute in questo modo di indagini ancora in corso. Prima che i social si riempissero di insulti razzisti verso i forse-colorati assassini di Mario Cerciello Rega, un altro caso simile era andato a saturare l’opinione pubblica: quello della terribile storia di Bibbiano, strumentalizzata all’eccesso e con ingiuste accuse di insabbiamento, mentre i giornalisti compiono in realtà il proprio mestiere nel rispetto dei canoni deontologici, senza affrettare le accuse e – soprattutto – moderando la copertura della notizia quando sono coinvolti minori in estremo stato di fragilità.

È una macchina del fango, senza mezzi termini: la caccia all’immaginario nero copre le morti in mare di neri più che reali; il presunto insabbiamento di una vicenda delicatissima copre l’insabbiamento, vero, delle prove ottenute da Buzzfeed sui fondi illegali destinati dalla Russia alla Lega. Martellante, incessante, insopportabile: un tormento dal quale un intero Paese deve essere in grado di riprendersi presto.

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