Addio a Roberto Gervaso, cronista d’Italia

Roberto Gervaso si è spento a Milano lo scorso 2 giugno, a 82 anni, dopo una lunga lotta contro un tumore. Il suo lascito, immenso, sta in gran parte nell’essere stato un vero e proprio moderno cronista della storia antica e recente del nostro Paese.

Assieme a Indro Montanelli scrisse quella “Storia d’Italia” che in breve tempo diventò un grande classico del giornalismo storico nostrano. Firmandone, per la precisione, i volumi dal III all’VIII.

Una decina d’anni prima della “Storia d’Italia”, nel 1960, era stato proprio Montanelli a prenderlo sotto la propria ala e introdurlo alla redazione del Corriere della Sera, dove la lunga e fortunata carriera giornalistica di Gervaso spiccò definitivamente il volo, procedendo a lunghe falcate verso quelle rubriche televisive ritagliate attorno a lui, che lo videro protagonista tra gli anni Settanta e Ottanta.

La passione per la saggistica storica sopravvisse in lui dopo i volumi a quattro mani con Montanelli, i quali non costituirono che un punto di partenza: è invidiabile la mole letteraria prodotta da Gervaso nel corso della sua vita.

Con una predilezione, appunto, per il racconto di tempi andati che costituirono i tasselli di quanto siamo ora, e per la narrazione di quelle singole vite che li hanno resi tali: numerose infatti le sue biografie, come quella di Cagliostro, Casanova o Nerone, ma anche i Borgia o Clara Petacci.

E, nonostante Gervaso sia spesso ricordato per il suo contributo storiografico, vale la pena notare come questo genere di letteratura non costituisca nemmeno metà del suo immenso parco di opere. Come ha ricordato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in questi giorni, Roberto Gervaso era «persona di finissima cultura», in grado di scrivere di qualsiasi cosa – e spesso lo faceva.

Anche sulla P2, la loggia massonica deviata della quale fu parte – e dalla quale, stando a quanto sostenuto dal giornalista Mario Guarino, avrebbe anche cercato di trarre qualche vantaggio professionale rivolgendosi direttamente a Licio Gelli. Nel commentare la pubblica scoperta della sua adesione, Gervaso si dichiarò curioso, appassionato della massoneria e avvicinatosi poiché intenzionato a scrivervi su un libro – come avvenne nel 1996 con “I fratelli maledetti. Storia della massoneria”.

Non solo “piduista”, Gervaso è stato un personaggio peculiare nella sua sfera privata quanto eccellente in quella pubblica: fu vegetariano per circa quarant’anni – in un periodo in cui non andava “di moda” ed era statisticamente una scelta più umana e personale. Verso la carne provava un disgusto che definiva «filosofico», e in vita sua la mangiò solo quando costretto dal medico curante.

Vittima di tre episodi depressivi, uno in gioventù, uno in mezza età e uno in vecchiaia, scrisse la sua esperienza a riguardo in “Ho ucciso il cane nero. Come ho sconfitto la depressione e riconquistato la vita”. Uno dei suoi ultimi volumi, edito nel 2014. Quella battaglia fu vinta: Gervaso non è infine stato ucciso dalla depressione, ma da un’altra lotta ventennale contro un male immenso, un tumore alla prostata. Il quale alla fine l’ha portato via, a un’età assolutamente rispettabile, e ha privato le generazioni presenti di nuovi volumi, ma non del suo ricordo – né di quello del suo immancabile, onnipresente papipllon.

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