Of mice and men (uomini e topi)

111C’è qualcosa all’interno di quelle scarse 120 pagine di inglese americano che resta nelle ossa. Quel libro ha in sé il dono e la capacità di restarti addosso come solo pochissimi altri libri sanno fare. Alcune frasi assumono forma circolare nella mente e cominciano a girare su se stesse e risuonale come un mantra. Come il “Tekeli-li” di Gordon Pym di Nantucket, che riesce a lasciare gli occhi sgranati e la pelle d’oca al lettore , come le parole che il professor Bartleboom scrive nelle sue lettere dalla locanda Almayer –generoso prestito del mai dimentico Conrad, come l’Orrore del morente Kurtz o la verità relativa che riposa sul nido del cuculo.
C’è, in quelle pagine, il miracolo di Steinbeck: tutta la vita di ogni uomo riassunta in poche, semplicissime parole: “livin’ offa the fatta the lan’ “. Nulla di più semplice ed al contempo complesso. E’ questo il miracolo della scrittura. E’ proprio questo che spinge un uomo a resistere in una vita di compromessi ed aridi sorrisi, a farlo stare in piedi quando tutto ciò che vorrebbe sarebbe sprofondare nel buio più assoluto ed immergersi nel silenzio. Uomini e topi, per chi scrive, rappresenta una pietra angolare nella letteratura del secolo scorso, una riscoperta della dimensione umana dei dimenticati; no, non dei poveri, non dei derelitti, non dei disagiati. I dimenticati sono quella moltitudine di umani che si agita e brulica come larve sugli avanzi di questo Mondo lasciati da chi si è pasciuto prima di loro sul cadavere dell’abbondanza. La scelta linguistica del presentare i personaggi con la reale parlata sgrammaticata di chi ha imparato la lingua per sentito dire contribuisce a donare vita e carattere a George e Lennie, protagonisti di questa vicenda che prende pieghe aspettatamente sorprendenti, una storia che accelera incredibilmente sul finale e che svela tutta l’umanità dei protagonisti; eroi sommersi da una vita che presta attenzione solo a chi svetta. Livin’ offa the fatta the lan’ riassume, a mio avviso, il desiderio di realizzazione di sé nella semplicità dell’esistenza, la più lucreziana delle affermazioni americane. Il desiderio di Lennie di condurre una vita morbida; dedicata ai ritmi della natura, con il suo amico ed i suoi conigli si scontra con la durezza di un mondo che corre ciecamente verso la modernità, tanto da iniziare a nutrirsi dei suoi stessi abitantim i quali si sacrificano volontariamente per raggiungere il traguardo –fissato da nessuno e rincorso da tutti- di avere del denaro. Ed è proprio sul denaro che fa perno la storia. Denaro e sogni come due fuochi di un ellisse. Denaro e sogni. Denaro che dovrebbe essere al servizio dei desideri dell’uomo ma che diventa carota da inseguire mentre l’uomo si consuma fra i suoi rovi, dimenticando i suoi sogni e vedendo trasformarsi i suoi stessi desideri in demoni torturatori. Perché è questo che fanno, i sogni traditi, proprio così. I sogni, quando si accorgono di essere stati traditi e dimenticati, si ribellano, e si trasformano in aguzzini che straziano il petto dell’uomo che li ha messi da parte. I sogni possono uccidere un uomo o renderlo un eroe. I sogni possono farti fare “di tutto per vivere, o di tutto per morire”. E George, questo, lo sa bene.

 

Giampaolo Giudice

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