Flussi e correnti

clip_image001Passato e futuro colti di sorpresa in quel reciproco inganno che archiviamo senza troppa attenzione con il nome di “Presente”.
Impegnati come siamo a sedare le altrui e le nostre insicurezze. Per sentirci importanti, per sentirci utili , indispensabili; per sentirci amati. Fosse anche per un istante, fosse anche un istante pagato a caro prezzo, sarebbe comunque un attimo di gioia e respiro, prima di riprendere la nostra folle corsa del topo, annaspando verso la fine del mese. Una vita di elemosina. A volte offerta, a volte richiesta, a volte rabbiosamente desiderata e negata nell’evidenza. Vite intere scandite non da respiri, ma da lancette: una riunione alle tre, un “meeting” alle dieci, un appuntamento telefonico alle cinque – chiamerà quel mastino rompiscatole a cui avevi promesso una risposta che non hai più dato perché… già, perché? Non c’è un reale motivo per non rispondere. O forse sì. Forse tutta questa storia della serietà con cui prendiamo il lavoro e ciò che sembra di vitale importanza nel quotidiano, non è poi così vitale e, a ben pensarci, nemmeno così importante. Riunioni e chiacchiere, fogli senza vita sul tavolo; povere anime abbandonate. Fogli che avrebbero dovuto raccogliere parole e farsi Vita giacciono sparsi sul finto legno di una scrivania, violentati da appunti senza valore e numeri segnati per non essere dimenticati; come se quei numeri avessero un valore assoluto di innegabile importanza.
Così il bravo impiegato passa i suoi giorni affogato da parole vuote e carte diventate cimitero di numeri, cercando di trovare un motivo, una sola ragione che lo spinga ad alzarsi al mattino, qualcosa che riempia la terribile attesa del 27del mese. Ma tutti dimenticano, prima o poi. Perché dimenticare spegne il dolore, ricaccia indietro quel che rimane di quei terrificanti sogni da ragazzo, oggi poco più che spettri. La vita può allungarsi fino a cent’anni, con medicinali e protesi d’avanguardia medica e scientifica, ma nulla potrà curare il ricordo degli uomini dei loro vent’anni; la parte della vita che dura più a lungo nella memoria.
Va ricomponendosi nella mente, pian piano, pezzo a pezzo, un passo di qualcosa letto tempo fa; da un uomo che non riusciva a trovare il proprio posto nella propria vita. Ho sognato di più di quanto Napoleone abbia realizzato.
“Ho stretto al petto ipotetico più umanità di Cristo.
Ho creato in segreto filosofie che nessun Kant ha scritto.
Ma sono, e forse sarò sempre, quello della mansarda,
anche se non ci abito;
sarò sempre quello che non è nato per questo;
sarò sempre soltanto quello che possedeva delle qualità;
sarò sempre quello che ha atteso che gli aprissero la porta davanti a una parete senza porta,
e ha cantato la canzone dell’Infinito in un pollaio,
e sentito la voce di Dio in un pozzo chiuso.
Credere in me? No, nè in niente.”
(Quel gentile portoghese mi perdonerà la violenza che gli faccio, strappando brandelli del suo creato; ma non è un gesto ricorrente fra gli uomini? Chi non ha mai colto un fiore?).
Come un visitatore del sogno di un altro, il quale sogna di sognare una vita che non gli appartiene. Che cosa c’è di più affannosamente reale della bellezza nascosta nel dolore di vivere in giorni lontani dal proprio presente percepito. E qui torniamo al punto di partenza. Che cos’è, davvero, questo Presente di cui conosciamo solo il nome?

 

Giampaolo Giudice

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