40 anni dalla Strage di Bologna e la difficoltà nell’indicare un colpevole

A Bologna, il 2 agosto del 1980, la storia d’Italia è cambiata per sempre. L’attentato di matrice neofascista, che costò la vita a ottantacinque persone e ne lasciò altre duecento ferite, non fu certo l’unico episodio caratterizzante i terribili anni di piombo. Basti pensare che, nel periodo storico che va dal ’68 all’’88, addirittura quattrocentoventotto persone sono morte nell’ambito del terrorismo a sfondo politico.

Eppure, anche di fronte a tutta la violenza di quegli anni orribili, la strage della stazione di Bologna risalta oggi e riuscì a risaltare anche allora. Nessuno, nel dopoguerra, aveva visto qualcosa del genere: un atto premeditato, elaborato e volto a colpire non nemici politici, ma civili. Molti, troppi civili, che le famiglie ancora piangono oggi – spesso ricordandosi che le responsabilità del mandante non furono mai accertate ufficialmente.

Perché, dopo quarant’anni, è ancora così difficile rintracciare le cause della strage? La paternità materiale dell’atto, come è noto, è da attestarsi ai Nar, nello specifico le figure di Luigi Ciavardini, Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Gilberto Cavallini. Sopra di loro, o con loro, non si è mai saputo ufficialmente cosa pensarne. Le motivazioni politiche dei Nar, certo, erano chiare: uno spregiudicato atto di terrorismo neofascista, in ritorsione per il processo relativo alla vicenda Italicus e per certi versi in spregio al concetto stesso della Repubblica italiana e di ciò che essa rappresentava.

Eppure, come risposta unica e sola, questa non sembra bastare. Per decenni sono state condotte indagini sulla via della strategia della tensione, ai possibili legami dei Nar con la Banda della Magliana e i servizi segreti deviati italiani e americani, e – perché no – anche alla loggia fuorilegge P2. Il risultato è un gran caos, come spesso accade per gli eventi relativi agli anni di piombo, un caos nel quale sussistono un’infinità di ipotesi, una moltitudine di depistaggi, un quantitativo di teorie del complotto e – alla fine dei giochi – una sola verità. La quale, ancora oggi, sembra sfuggire.

La pista della Magliana fu poi presa in esame dai giudici, con il processo per depistaggio che vide in un primo momento coinvolto anche Massimo Carminati, nel 2000. Al processo del 1980 seguirono due successive inchieste: una, che durò dieci anni, aperta nel 1997 e chiusa nel 2007 per l’imputazione definitiva di Luigi Ciavardini come co-esecutore materiale.

L’ultima, chiusa aperta nel 2017 e chiusa pochi mesi fa (11 febbraio 2020), ha sentenziato il coinvolgimento nella strage – come mandanti, finanziatori, o organizzatori – di Licio Gelli, Gran Maestro della P2, assieme al “banchiere della P2” Umberto Ortolani, il piduista e eminenza grigia di servizi segreti e Nato Federico Umberto d’Amato, e infine il politico missino Mario Tedeschi. Tutti morti almeno vent’anni fa.

Il passo in avanti è concreto, ma le domande su Bologna permangono: c’entravano gli Stati Uniti? Quanto ne sapevano i servizi italiani? Fu una copertura per distrarre l’opinione pubblica dalla strage di Ustica, avvenuta due mesi prima, come suggerito da alcuni? Domande che ancora restano senza risposta, nonostante la “celebre” condanna di individui che, in quanto tre metri sottoterra, risultano oggi difficili da ammanettare e tradurre in cella.

Didascalia foto: Valerio Fioravanti e Francesca Mambro a processo per la strage. (Regione Emilia-Romagna)

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