Angela Nanetti, ‘Il figlio prediletto’. Il racconto di anime fragili nella disperata ricerca della propria dimensione in questo mondo

“Quando morì zio Nunzio, avevo otto anni e il funerale me lo ricordo ancora. Arrivò una macchina da fuori, nera e lucida con una scritta d’oro sul vetro, piena di fiori rossi e bianchi. Si fermò sulla piazza davanti alla chiesa e c’era tutto il paese ad aspettarla, anche il sindaco e la banda. Quattro uomini tirarono fuori una cassa e la presero sulle spalle, tutti vestiti di nero. Il resto non me lo ricordo”.

Questa è una storia nera come la pece, una storia dura come la terra che abbraccia l’Aspromonte, una storia intensa e vibrante di anime dannate, in fuga dai loro demoni, anime in cerca di libertà, oppresse e schiacciate dalle pesanti catene di una società gretta e brutale.

Questo è l’intenso e struggente romanzo scritto da Angela Nanetti, ed edito da Neri Pozza; ‘Il figlio prediletto’ sono storie di vita, così lontane tra loro, che s’intrecciano e si avvinghiano sempre più, sono racconti di una terra omertosa, fatta di regole ataviche, di non detti, che soffocano spiriti puri, anime vogliose di librarsi libere in volo, di essere semplicemente se stesse fino in fondo.

Questa è la storia di Nunzio Lo Cascio, giovane, bel ragazzo di questo pesino calabrese, ai piedi dell’Aspromonte; faccia d’angelo, la passione per il calcio, l’amore per un altro ragazzo, Antonio, segreta, nascosta, intensa, vera; “e frenare il desiderio doloroso, rimandare la resurrezione, ascoltare, con la testa altrove, rispondere con parole diverse…e gioire dell’attesa e del loro segreto”.

Un amore consumato di nascosto, il loro, “dentro la vecchia Fiat del padre di Antonio”, in quello spiazzo “dove c’era la fontana che sgocciolava ancora un respiro d’acqua, e un fascio di quercioli a fare ombra di giorno a tanta aridità”.

Ma il paese ha mille occhi e mille orecchie, tutto vede, tutto sa, anche le cose più segrete, e no, quell’amore loro non poteva essere proprio accettato.

Così una notte, un momento di tenera passione si macchiò di sangue innocente: Antonio fu ammazzato, Nunzio costretto ad emigrare, di nascosto, a Londra.

In paese, di lui rimase solo “la foto del campionato del ‘69 con tutta la squadra sul campo dopo la vittoria”.

E questa è anche la storia di Carmela, la mamma di Nunzio, donna forte e spigolosa, tagliente con la parola, energica custode dell’ordine patriarcale, lei che conosce molte più verità di quanto voglia far credere, e piange per l’improvvisa partenza del suo figlio prediletto, e piange quando, anni dopo, lo rivedrà chiuso in una bara, e continuerà “a piangere e a portare i garofani bianchi e rossi a zio Nunzio tutte le settimane, finché riuscì a trascinare le gambe al cimitero“.

E questa è anche la storia della famiglia Lo Cascio, una storia dove l’apparenza conta più della sostanza, dove certe verità devono sottostare a regole antiche non scritte, una famiglia dove gli uomini sono rozzi e violenti, mentre le donne subiscono in silenzio le scelte altrui.

Ma questa è soprattutto la storia di Annina Lo Cascio, la nipote di Nunzio, che vive nel ricordo dolce di suo zio, attraverso le parole dette dalla nonna, e che ama suo padre, così forte, potente e sempre rispettato, finché qualcosa non incrina le sue certezze e sicurezze.

Sarà l’amore per il teatro, la voglia di libertà, il non sentirsi più ingabbiata in ruoli stereotipati già scritti per lei da suo padre, a spingerla alla fuga da quel paese opprimente, vecchio e immobile.

Raggiungerà Londra, e fatalmente, ripercorrerà la storia di suo zio Nunzio, trovando disseminati minuscoli frammenti della sua vita londinese, e, rimettendoli insieme, pazientemente, scoprirà così una persona ben diversa rispetto al disegno che le avevano fatto di lui, in famiglia, vedrà un’anima tormentata, molto simile alla sua, un’anima assetata di libertà, desiderosa di vivere e non più sopravvivere dentro schemi rigidi, imposti dalla società.

Capirà così, molto di quel suo zio che mai aveva conosciuto, e capirà molto di sé, e pure della sua famiglia d’origine, della sua terra natia; un viaggio catartico, il suo, che la porterà ad una nuova rinascita, ad una nuova consapevolezza di sé, mentre la sua famiglia fatalmente si disgrega per sempre, schiacciata da quell’omertà che sembrava tutto nascondere.

Angela Nanetti riesce così a costruire un romanzo forte e intenso, un romanzo che sa come afferrarti l’anima e lo sguardo, per non distoglierli più nello scorrere delle pagine.

Linguaggio vero, sanguigno, reale, personaggi credibili, disegnati a tutto tondo, Angela Nanetti non cade mai nei cliché stantii, né si aggrappa mai a schemi prestabiliti.

I suoi personaggi sono tutti veri, intensi, né eroi né vinti, semplicemente umani, con le loro contraddizioni, con il loro essere spietati, ma anche innocenti. Essi mostrano al lettore tutta la meschinità umana, ma anche la più rara generosità. Sono individui confusi, nelle loro certezze che via via si sgretolano, che vengono a patti con il mondo, trovano la forza, il coraggio, imparano e tentano di avanzare nella loro vita.

Il romanzo di Angela Nanetti non sceglie mai strade semplici; esso intreccia magistralmente storie, imbocca strade ardite, diventa contorto quando poi, improvvisamente, tutto si dipana, incuriosendo sempre più il lettore.

L’amore omosessuale, la ricerca di se stessi, la ribellione giovanile, ma anche la Calabria, terra del Sud schiacciata dall’omertà e avviluppata dalla criminalità, ed il ruolo della donna in questo Sud, così debole e fragile, schiacciata da regole rigide, o in fuga verso la propria libertà, sono questi gli ingredienti principali de ‘Il figlio prediletto’, che Nanetti sapientemente plasma con la sua scrittura coinvolgente, senza mai cadere nella banalità stereotipata dei topos letterari.

Il suo è uno sguardo attento sulle condizioni umane, sulle sue miserie, sui suoi desideri; c’è la fuga da un mondo opprimente, e la consapevolezza che nessuna fuga e poi liberatoria, perché quei demoni li porti con te nell’animo, e solo affrontandoli te ne puoi liberare.

In fondo questo è un romanzo sulla ricerca, contorta e difficile, della propria identità, sul desiderio vitale di libertà di essere pienamente se stessi; si fugge dalla Calabria per cercarla nella City, ma in qualche modo troveranno lo stesso, mondi chiusi, soffocanti, violenti, con uomini prevaricatori e donne fragili e rassegnate a subire.

Si fugge per capire fino in fondo chi si è veramente, ma poi si deve tornare, comunque, in Calabria, nella propria terra, per chiudere i conti con il proprio passato e seppellire definitivamente i propri demoni, per placare così, l’inquietudine che lacera l’animo.

“E subito dopo la risata, prima in sordina e poi in crescendo. Sale la risata di nonna Carmela e s’allarga, scuote i cipressi, rovescia i vasi leggeri e strappa i fiori secchi”.

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