Violenza economica di genere

La violenza di genere ha una matrice nella disuguaglianza dei rapporti tra Uomini e Donne. I fatti di cronaca relativi a drammatici episodi compiuti contro le Donne rivelano come siano necessari interventi e misure forti e tempestive per arginare il fenomeno.

Nel solo anno in corso su 178 omicidi, 74 hanno visto Donne come vittime. Di queste, 65 uccise in ambito familiare-affettivo e ben 46 hanno trovato la morte per mano del partner/ex partner.

Mettere in connessione la sperequazione economica tra i generi con la violenza fisica che le Donne subiscono può sembrare una forzatura.

La violenza economica nella sfera domestica è una delle forme con cui si manifesta la violenza contro le Donne. Un aspetto subdolo, poco conosciuto e riconoscibile, dai contorni sfumati, dove il controllo può confondersi con la gestione e il benessere familiare. Ha un largo spettro, insinuandosi lentamente in piccole pratiche quotidiane.

Entrare nel merito della gestione delle spese; elargire piccole somme controllate, assimilando partner e prole in una “paghetta” aleatoria; insinuare dubbi sulla capacità di svolgere azioni quotidiane come guidare, andare in banca o alla posta, aprire un conto corrente o ragionare di investimenti, effettuare compravendite o compilare la dichiarazione dei redditi. Sono solo degli esempi che, spesso, si accompagnano a valutazioni più ampie sulla modalità di esercitare l’attività di cura, verso l’ambiente familiare o verso i figli, un clima di sfiducia e disfattista il cui risultato finale si concretizza nell’abbandono del lavoro delle Donne, in parte perché meno retribuito (per il fenomeno della disparità salariale), in parte per effetto della sperequata distribuzione dei carichi familiari e la riproduzione di ruoli patriarcali.

Nella spirale della violenza, la violenza economica è l’innesco più subdolo usato per isolare una donna facendole perdere l’indipendenza, minando nel profondo la propria autostima e l’autodeterminazione. Un costo non solo personale, che nessuno può ignorare, ma anche sociale.

I costi della violenza, oltre che direttamente imputabili per spese sanitarie, legali e giudiziarie, sottraggono individui sani alla partecipazione della vita civile.

“Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società, come mezzo di affermazione della propria personalità, esplicazione dei propri talenti di cui la società trae beneficio.” Un diritto-dovere costituzionalmente tutelato (Cost. art.4, co.2) di cui il violento priva totalmente la vittima.

Il divario con un PIL a piena occupazione femminile continua ad essere esaminato e stimato. Le Donne potrebbero rappresentare il volano della ripresa, un motore fondamentale in termini quantitativi e qualitativi, visti i livelli d’istruzione elevati raggiunti e le competenze e le abilità femminili ancora non pienamente valorizzate.

Eppure la crisi pandemica ha accentuato la marginalizzazione dell’impiego femminile, il 55,9% dei posti di lavoro persi appartengono a donne che più difficilmente riescono a rioccuparsi.

Ecco, quindi, che la violenza esercitata quotidianamente in ambiti, apparentemente, lontanissimi, si concretizza in un disagio grave e insopportabile per la persona, ma, anche, indissolubilmente collegato al benessere del Paese.

Il nostro retaggio culturale ha radici patriarcali secolari difficili da estirpare.

Il quadro giuridico italiano, di origine romana, per combattere la violenza contro le donne si è evoluto nel tempo, e prevede misure di protezione e prevenzione, oltre che sanzionatorie o repressive. Non è quindi un problema di carenza di disciplina a tutela delle vittime di violenza contro le donne, bensì culturale.

La violenza nella sfera privata rimane in gran parte invisibile, non riconoscibile, spesso dalle stesse vittime, e sotto denunciata.

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