Il Carnevale è un periodo di festa, diffuso principalmente fra i Paesi di tradizione cattolica, in cui la libertà si manifesta sotto forma di gioco e, soprattutto, di mascheramento. Secondo la maggior parte delle fonti, il termine “Carnevale” deriverebbe dall’espressione latina “carnem levare” (o “carne levamen”), “togliere la carne”, riferita al banchetto che si teneva il giorno prima dell’inizio della penitenza quaresimale, ovvero il martedì, detto appunto “grasso”, che precede il Mercoledì delle Ceneri; altre ipotesi lo ricondurrebbero, piuttosto, al carro adoperato per le sfilate delle maschere, detto “carrus navalis” (“nave su ruote”), o ai giochi campagnoli, chiamati “carnualia”. Sebbene legata al calendario liturgico della Chiesa Cattolica, tale ricorrenza mutua le caratteristiche proprie del suo svolgimento da culti assai più antichi, quali le “antesterie” dell’antica Grecia e i “saturnalia” romani. Entrambe le feste prevedevano infatti il sovvertimento delle norme sociali e morali, la rottura dell’ordine precostituito per mezzo dello scherzo, del travestimento e di atteggiamenti bizzarri e esageratamente provocatori, quando non del tutto proibiti (come i frequenti riti orgiastici). Per quel breve arco di tempo, tutto era permesso, in nome del rinnovamento della natura e della società: al gelo invernale sarebbe presto seguita la rifioritura primaverile, al caos dissacrante del Carnevale si sarebbe l’indomani sostituito un nuovo e, possibilmente, più stabile ordine. Strumento prediletto di alterazione della consuetudine era la maschera, che consentiva per quel giorno di accantonare la propria identità e il proprio ruolo sociale e di vestire i panni di chiunque si volesse, per godere dei suoi stessi privilegi ed emularne i pregi o semplicemente per rivelarne i difetti e canzonarlo.
Già presente, in età preistorica, la maschera veniva impiegata, nel corso di pratiche propiziatorie e funerarie, come mezzo di comunicazione tra la realtà visibile dell’uomo ed il mondo invisibile degli spiriti, passando così, per estensione, a rappresentare l’ininterrotto ciclo palingenetico della natura (si pensi ai cortei mascherati in onore di Marduk a Babilonia, di Iside in Egitto o di Dioniso in Grecia). Grazie al suo illimitato potenziale espressivo, in seguito, si adottò, in ambito teatrale, per riunire e trasmettere, con pochi tratti essenziali, le virtù e, soprattutto, i vizi tipici di un personaggio, rendendolo immediatamente riconoscibile al pubblico, e, allo stesso tempo, per amplificare l’incisività della performance. Sottile strato di confine tra verità e finzione, il sé e l’altro, è infine divenuta il simbolo dell’arte in tutte le sue forme, dell’artista, in quanto mediatore fra dimensioni celesti, parallele o possibili e il resto dell’umanità, e, a partire dalla rivoluzione psicanalitica, della ricerca dell’identità più profonda e autentica e dei diversi livelli della sua manifestazione e condivisione. Proprio la ricchezza e la complessità dei suoi significati ed usi ha offerto sempre più numerosi e originali spunti di riflessione sul rapporto tra natura e artificio, individuo e società, vita e morte, arricchendo l’immaginazione e il talento di molti celebri artisti fino ai nostri giorni, fra i quali i grandi maestri James Ensor, Emil Nolde, Pablo Picasso e Gino Severini costituiscono solo alcuni dei più noti esempi nella pittura europea degli ultimi due secoli.
Interessante è la più recente interpretazione del tema proposta dalla pittrice russa Olga Suvorova. Nata, nel 1966, a San Pietroburgo (allora Leningrado), Olga Suvorova è figlia di Igor e Natalja e madre di Ekaterina, anch’essi pittori assai apprezzati in Russia. Come gli altri componenti della sua famiglia, si è laureata all’Accademia di Belle Arti “Ilya Repin” di San Pietroburgo (1988), con una tesi sulla composizione monumentale, che le è valsa la medaglia d’oro. Nel 1990, ha debuttato con grande successo con la prima mostra personale, organizzata presso la stessa Accademia, e, nel 1993, l’allora presidente Eltsin le ha conferito il premio “Artista dell’anno”, in un concorso fra circa 3000 artisti. In trent’anni di carriera, ha presentato con motivato orgoglio il proprio lavoro in vari Paesi d’Europa (tra cui l’Italia), negli Stati Uniti e in Cina. Membro dell’Unione degli Artisti della Russia, attiva per anni in Francia e nel Regno Unito, la Suvorova espone regolarmente a San Pietroburgo, Parigi e Londra, dove, per il suo dipinto Tempi d’oro in Russia, ispirato al periodo di Caterina la Grande, ha ricevuto il primo premio dalla Royal Society of Portrait. Molti suoi lavori si possono inoltre ammirare presso prestigiose collezioni private di tutto il mondo.
Il suo linguaggio, inizialmente modellato sull’esempio dei genitori, conserva e sviluppa un solido legame con la cultura d’origine, che passa attraverso la rielaborazione delle tradizionali icone religiose per arrivare al modernismo della corrente “Mir Iskusstva” (“Il Mondo dell’Arte”), punto d’incontro e confronto con la pittura europea otto-novecentesca, e si lascia alimentare da altri influssi, come quello dell’arte rinascimentale, che non si limita a mere scelte formali e compositive. Nei suoi dipinti, si rinnovano l’androgina delicatezza dei volti preraffaelliti, la trattazione impressionista delle atmosfere e di certi elementi naturali, l’uso simbolista del colore, i preziosi motivi decorativi in oro cari a Gustav Klimt (e ripresi da molti altri pittori russi contemporanei) e la classica compostezza delle figure di Piero Della Francesca. A rendere tale fusione ancora più magica e originale è la scelta dei soggetti: personaggi in costume allocati in periodi storici differenti, con una particolare predilezione per il Rinascimento e il Barocco, ovvero, epoche che hanno visto la trionfale comparsa delle intramontabili maschere della Commedia dell’Arte e l’usanza sempre più diffusa, presso le corti, di sontuosi balli mascherati.
Questo ci lascia supporre che la sua interpretazione del tema della maschera sia più di stampo oraziano e umanistico che freudiano-pirandelliano. La pomposità e la minuziosa cura dei dettagli degli abiti, per i quali ricorre in tal caso ad alcune variopinte e pregiate sete, la leggerezza e la vitalità delle scene rappresentate, lo stesso carattere monumentale delle sue opere, infatti, sembrano un invito a “cogliere il giorno” e a trarre, dal giorno che passa, ciascun istante di eternità. In questa prospettiva, il costume libera, anziché imprigionare, le figure, enfatizza e riconcilia l’identità o, meglio, le diverse sfumature dell’io, anziché frammentarle e inibirne lo sviluppo e la piena espressione. Recuperata l’originaria funzione medianica fra terra e cielo, la maschera può coincidere con il volto e, insieme, perfezionarlo. È ancora nella storia e nel mondo, ed è già fuori di essi.
Foto prese da Catherine La Rose