Un plauso ad Artemisia

Artemisia Lomi Gentileschi (Roma, 1593 – Napoli, 1653) è stata una straordinaria artista, oltre che donna indipendente e impegnata a perseguire la propria affermazione contro i pregiudizi del suo tempo. Imparò a leggere e a scrivere molto presto, così come a suonare il liuto; superò violenze familiari e seppe venir fuori da difficoltà economiche; cambiò città, cambiò case, fu promotrice di se stessa, richiesta dai più colti ambienti culturali del tempo e dai grandi d’Europa.

Una storia di Artemisia la si può percorre attraverso i suoi grandi capolavori nei maggiori musei: Galleria degli Uffizi di Firenze, Museo di Capodimonte di Napoli, Collezioni Comunali d’Arte e da quelle della Pinacoteca Nazionale di Bologna, Art Museum di Saint Louis, Museo di Belle Arti di Budapest, Raccolte d’arte del Sovrano Militare Ordine di Malta, Fondo Schwartz del Wadsworth Atheneum Museum of Art di Hartford, UniCredit Art Collection, Museo Nazionale del Prado di Madrid, Metropolitan Museum of Art di New York, Fondo Clarence Brown del Museum of Art di Toledo, Galleria G. Sarti di Parigi, Galleria Palazzo Zevallos Stigliano di Napoli, Galleria Palatina di Firenze.

Poter confrontare versioni diverse della stessa opera, come ad esempio “Giuditta che decapita Oloferne”, Uffizi e Capodimonte, permette di comprendere molto della storia di questa fine artista per troppo tempo rimasta celata tra le pagine della Storia. La prima versione esposta a Napoli, più piccola, intima, lascia trapelare tutta la violenza che muove dal desiderio di vendetta. La tela è stata dipinta immediatamente a ridosso del processo per stupro nel quale Artemisia accusava Agostino Tassi, collaboratore del padre, di tale ignominia, dovendo persino subire la tortura dello stritolamento delle dita, che le avrebbe potuto provocare danni permanenti al suo talento. La seconda versione, che possiamo ammirare a Firenze, più grande, con tinte più forti, propone la scena da un punto più distante e permette di cogliere altri particolari, come ad esempio le gambe della vittima. Diversi sono i colori delle vesti: mentre nel quadro napoletano le due donne sono vestite di blu (Giuditta) e di rosso (l’ancella), qui Giuditta indossa un vestito giallo, e l’ancella un modesto vestito bianco. Merita attenzione anche il rosso scuro della coperta in cui è avvolto Oloferne. L’espressione di Giuditta è decisa e appare più furiosa, mentre sta tagliando la gola al generale nemico con efferata freddezza nel compiere il sacrificio. Si potrebbe scorgere l’influenza di Caravaggio nell’opera di Artemisia: il dipinto che evoca la stessa scena, non solo nella crudezza della decapitazione, ma nella postura stessa dell’eroina biblica e, atipicamente rispetto agli altri artisti dei suoi tempi, nella scelta di rappresentare la scena della decapitazione di Oloferne, rispetto al momento della fuga delle due donne. L’episodio è stato di certo più difficile da dipingere in maniera realistica, ma si può notare la bravura dell’artista nel rappresentare lo sforzo fisico nei movimenti dei personaggi. La resistenza che l’uomo oppone all’aggressione è suggerita anche dalle lenzuola disfatte. L’analisi del quadro, in chiave psicologica, ha portato alcuni critici contemporanei a vedervi il desiderio femminile di rivalsa rispetto alla violenza sessuale subita Agostino Tassi. Differentemente dal dipinto di Caravaggio, si nota in Artemisia lo sguardo complice e la solidarietà tra Giuditta e l’ancella, che solo unite riescono a sopraffare il generale nemico. Anche questa particolarità potrebbe essere un riferimento alla storia personale della pittrice, che accusò Tullia, inquilina e punto di riferimento della ragazza, di omissione di soccorso nel momento dello stupro subìto. Ricordiamo le parole con cui lo storico Roberto Longhi descrive tutta la sua meraviglia a proposito di questo quadro: “Chi penserebbe che sopra un lenzuolo studiato di candori e ombre degne d’un Vermeer, dovesse avvenire un macello così brutale ed efferato. Vien voglia di dire – ma questa è la donna terribile! Una donna ha dipinto tutto questo? …… ciò che sorprende è l’impassibilità di chi ha dipinto tutto questo …non vi pare che l’unico moto di Giuditta sia quello di scostarsi al possibile perché il sangue non le brutti il completo novissimo di seta gialla?”

Invitiamo tutti a riscoprire questa somma pittrice che ben altro lustro avrebbe meritato se di sesso diverso. Ammirare Susanna e i vecchioni, mentre si fa il bagno sotto lo sguardo di due vecchi

lussuriosi, o Giaele e Sisara, dove una deliziosa fanciulla, vestita con un elegante abito di seta gialla e con i capelli ramati raccolti in una ricercata acconciatura. – sta per ficcare un chiodo nel cranio di un ignaro generale cananeo; una Cleopatra morente; una sensuale Danae; o Corisca, che scappa dal satiro, mettendosi dei capelli posticci; o Ester, che dopo un digiuno di tre giorni si presenta al re persiano per svelare un complotto contro il popolo di Israele.

Tutte donne possenti, protagoniste senza timori, autonome e determinate a fare proprie le sfide del destino. Proprio come Artemisia nella sua vita eccezionale.

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