#SponzFest2019, Mimmo Lucano: «Rifarei tutto ciò di cui sono accusato. Basta mortificare le coscienze».

«So che queste mie parole avranno delle conseguenze, ma io non ho paura. Rifarei tutto quello che ho fatto, tutti i reati di cui mi accusano. Mi difenderò nelle sedi adeguate, perché io non sono Salvini, non scappo dai processi».

È scrosciante, lungo e sincero l’applauso che gli oltre duemila presenti a Calitri riservano a Mimmo Lucano, all’incontro moderato dall’antropologo Vito Teti in programma allo Sponz Fest 2019, la kermesse diretta da Vinicio Capossela in Alta Irpinia e ormai giunta alla settima edizione.

L’ex sindaco di Riace si interrompe, mentre racconta come le vicende di cui si è reso protagonista siano passate da modello di umanità ad inchiesta giudiziaria. Si blocca perché si commuove. Un po’ per rabbia, molto perché la partecipazione empatica del pubblico è talmente forte da essere palpabile. Basta guardarsi intorno. Gli occhi di tutti i presenti luccicano, senza distinzione di età o di genere. Se qualcuno riesce a fatica a ricacciare le lacrime, qualcun altro non resiste e rompe gli argini.

Perché ad ascoltare le sue parole, minuto dopo minuto, si realizza sempre di più quanto pensato da tutti ma affermato coraggiosamente ad alta voce solo da Teti: legge e giustizia sono due cose assai diverse.

«Volete un esempio di quello che mi viene imputato? – continua Lucano – Il 22 Dicembre 2016 ho rinnovato la carta d’identità dell’immigrata Becky Moses e, a quanto pare, sono stato “leggero” nei tempi e nel riconoscimento. Becky stava per lasciare Riace, obbligata a finire nell’inferno della baraccopoli di San Ferdinando a Rosarno. Quel documento era per lei, com’è per molti, un’attestazione di esistenza, una definizione di vivere nel mondo in qualità di essere umano. Sì, io poco prima di Natale ho consegnato la carta d’identità a Becky Moses, salvata dal mare e dalla strada. Il 26 Gennaio del nuovo anno Becky è morta in un incendio, a San Ferdinando, ma di quei colpevoli nessuno si sta occupando».

Il secondo esempio fatto da Lucano, sfiora il ridicolo: «Riace, come moltissimi altri paesini della Calabria, era completamente svuotato. Tante sono le case ormai disabitate e completamente abbandonate, eppure si è riusciti lo stesso a creare ghetti disumani e vergognose baraccopoli. Sono accusato di aver fornito agli immigrati giunti sulle coste, quale sistemazione emergenziale e provvisoria, delle case prive di certificato di agibilità. Vorrei solo far notare che anche il Tribunale di Locri, ad esempio, non lo possiede. Non ho mai detto di non voler pagare per queste irregolarità, mi chiedo solo perché non ci si occupi con la stessa solerzia anche di tante situazioni ben peggiori di Riace».

Oggi Lucano sarà all’ospedale di Catanzaro dal padre, che non è in salute e che non può vedere a casa perché, nonostante la maggior parte delle accuse contro di lui sia caduta e gli siano stati revocati gli arresti domiciliari, resta il divieto di risiedere o recarsi a Riace. La beffa al danno: l’esilio. «Ma, a differenza di tanti altri, Mimmo Lucano e Riace passeranno alla storia – afferma sicuro Teti – Perché Mimmo ha dimostrato come in un paese dominato dalla criminalità organizzata e dall’abusivismo, un’altra idea di futuro non solo sia possibile, ma sia concretamente realizzabile. Dopo Lucano, nessuno può più permettersi di dire “Ormai non c’è più niente da fare” e dovremmo essere più consapevoli del fatto che tutti noi possiamo contribuire concretamente, in prima persona, smettendola di delegare ogni responsabilità ai simboli, com’è diventato Lucano. Spesso l’ospitalità che rivendichiamo di possedere come popolo è solo vuota retorica, serve per salvarci la coscienza. Ne facciamo professione ma poca pratica, e “continuiamo ad adorare il Cristo di legno, e non quello di carne”, come diceva Don Bruno Padula».

«Io non ho fatto tutto questo per essere definito un eroe – ha ripreso Lucano – Sono un umile assistente di laboratorio e appartengo ad una generazione che ha creduto nell’ideale politico dell’uguaglianza sociale, del rispetto degli ultimi, del sentire le ingiustizie di tutti come fossero le proprie. Cercavo un modo per concretizzare tutto ciò e l’ho fatto aprendo le porte del mio paese, e capendo che i nuovi cittadini potevano essere un’opportunità per noi. Il beneficio è più per chi resta in paesini come il mio, che per chi arriva in

cerca di una nuova vita. Sono stati creati nuovi posti di lavoro, l’ambulatorio medico ha ripreso a funzionare a pieno regime, si è realizzata una geografia umana bellissima, dove le vecchiette calabresi vestite di nero passeggiano con le donne africane in abito multicolore. Sono sorti tantissimi laboratori di artigianato etnico. La festa di Santa Cosma e San Damiano, anche loro emigranti secondo la leggenda, a Riace è la festa dei Rom. Quello che in tanti posti viene considerato un problema, a Riace è stato forza propulsiva di rinascita».

Ciò che Lucano lascia a degli ascoltatori che non vogliono farlo andare via, è – nonostante tutto – un messaggio di grande forza e ottimismo: «Il mondo appartiene a tutti, non solo a chi se lo può permettere. Sogno un giorno in cui più nessuno rivendicherà di essere “cittadino autoctono”, come me, che ormai mi sento anche un po’ curdo, un po’ afgano, un po’ nigeriano. Scegliere l’umanità è sempre preferibile, ed è meglio essere sempre buonisti che, anche per un solo giorno, cattivisti. Basta con questa mortificazione delle coscienze, accendiamo fuochi di speranza».

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