Le notizie che ci sono giunte riguardo alla scuola nell’antica Roma sono spesso contraddittorie. Ciò che è certo è che l’antica tradizione romana prevedeva che fosse il padre ad educare il figlio. Un compito a cui non si sottraevano neanche gli uomini più facoltosi, che addirittura portavano con sé i figli in cerimonie austere e processioni religiose, come raffigurato nei fregi dell’Ara Pacis.
Le cose cambiarono dalla fine dell’età repubblicana, quando si iniziarono ad affidare i figli ad un maestro o a mandarli a scuola. Le lezioni erano molto semplici: si imparava a leggere, scrivere e fare i conti. Solo col tempo l’istruzione venne divisa in tre gradi.
Il primo grado di insegnamento era quello elementare, impartito dal litterator e dagli altri maestri elementari. Non esistevano i grandi edifici scolastici di oggi.
Le lezioni si tenevano a casa del maestro o in scuole pubbliche tenute da un privato. Il litterator insegnava a leggere e scrivere. In seguito spettava al librarius, al calcolarius e al notarius ad insegnargli rispettivamente a perfezionare la scrittura, far di conto e stenografare.
Terminato il primo grado, si passava all’insegnamento medio, sotto la guida del grammaticus.
Nella scuola del grammaticus gli studenti imparavano la lingua e la letteratura greca e latina, soprattutto attraverso la poesia, senza tralasciare nozioni di geografia, storia, fisica e astronomia, necessarie a capire ciò che si leggeva. L’allievo imparava a pronunciare e leggere con pathos, a comprendere il significato e la metrica dei testi latini e greci, che di solito venivano dettati. Doveva poi imparare a memoria dei passi e ad esporli in maniera orale e scritta. Il terzo grado di istruzione era affidato al rhetor, il maestro di eloquenza.
Si trattava di un corso di perfezionamento rispetto ai gradi precedenti. Il rhetor preparava i giovani alla vita pubblica, tramite lo studio dei testi classici e dell’arte retorica, grazie ad esercizi orali e scritti.