Roma Barocca e antiche rivalità

A Roma, città eterna, sono presenti tutti gli stili della storia dell’arte: c’è l’antica Roma repubblicana ed imperiale, la Roma medievale, quella rinascimentale, fino a quella contemporanea. Ma la veste più “sfacciata” della città, la più evidente, è quella barocca, del 1600, anche perché in questo secolo, i Papi vittoriosi sulla Riforma protestante, vollero esibire la loro vittoria rimettendo a nuovo la città, con edifici imponenti che suscitassero meraviglia e rimandassero al concetto della grandezza della Chiesa.

Il termine barocco ha una genesi incerta: secondo alcuni deriva dallo spagnolo barrueco e portoghese barrôco che indicava una perla di forma irregolare; secondo altri da un sillogismo medievale complicato e cavilloso. Il termine in realtà verrà utilizzato solo dagli scrittori di età neoclassica, con chiaro intento dispregiativo, per evidenziare i caratteri di irregolarità di questo stile. La rivalutazione tentata alla fine dell’Ottocento dallo storico austriaco Wolfflin si basa su una estensione del concetto di barocco: oltre che individuare lo stile del XVII sec. il barocco sarebbe una categoria estetica universale che privilegia i sensi invece della ragione, e indica tutto ciò che è fuori misura, eccentrico, eccessivo, fantasioso, bizzarro.

In una battuta la differenza tra Rinascimento e Barocco è che nel Rinascimento, al culmine della riscoperta della centralità dell’umanità e della Natura, si ricerca proporzione ed armonia, sobrietà, nel Barocco, per i citati motivi, tutto deve essere stupore, meraviglia, impressionante visione.

Non è possibile camminare per il centro di Roma senza imbattersi nei capolavori dell’arte barocca. Gian Lorenzo Bernini e Francesco Borromini ne sono stati i principali artefici, due maestri assoluti ma con personalità molto differenti.

Gian Lorenzo Bernini figlio d’arte, architetto, scultore, pittore, oltre che autore di teatro e scenografo. Amante dei modelli classici, riproposti e reinterpretati con fervida immaginazione accompagnata da una piena padronanza della tecnica, fu coccolato dai Papi che si successero al soglio pontificio.

Francesco Borromini, iniziò la sua carriera come intagliatore di pietre a Milano nel cantiere del Duomo, alle dipendenze dello zio Carlo Maderno. Fu primo assistente del Bernini collaborando con lui in parecchi progetti, il più importante dei quali è l’enorme baldacchino che copre l’altare di S. Pietro, che molti conoscono come opera del solo Bernini. Austero, dalla personalità solitaria, impulsiva, malinconica e irascibile, fu sempre oscurato dal maggior successo del Bernini (ad eccezione delle parentesi del pontificato di Innocenzo X, presso il quale il suo rivale era caduto in disgrazia). Soffriva di disturbi nervosi e di depressione e finì la sua vita suicida per un atto d’ira improvvisa.

Il carattere diverso e la diversa formazione fece nascere molta acredine fra i due architetti, tanto da ispirare credenze popolari sulla loro rivalità.

Il viandante coglie le differenze nei continui esempi e rimandi di chiese e monumenti: una accanto all’altra, si trovano la chiesa di Sant’Andrea del Bernini e il San Carlo alle Quattro Fontane del Borromini, ma è a Piazza Navona che le leggende sulle rivalità si concentrano.

Piazza Navona, uno dei monumenti più noti nel mondo a rappresentare Roma, costituisce uno dei complessi urbanistici più spettacolari della Roma barocca. Sorta sui resti dello stadio di Domiziano, di cui conserva forma e dimensioni, il nome le deriva dai giochi agonali che si svolgevano in quel circo, di cui restano testimonianze sotto la piazza. Dal 1600 fino a metà dell’1800, nei sabati e nelle domeniche di agosto la piazza, che allora aveva il fondo concavo, veniva in parte allagata e vi si svolgevano battaglie navali.

Al centro della piazza sorge la Fontana dei Quattro Fiumi del Bernini (1651), dove quattro grandi figure allegoriche, in rappresentanza dei quattro continenti allora conosciuti (non c’è ancora l’Australia), opera di collaboratori del Borromini (il Danubio per l’Europa, il Nilo per l’Africa, il Rio della Plata per le Americhe e il Gange per l’Asia) siedono su una scogliera scavata da grotte. Il Danubio indica uno dei due stemmi dei Pamphilj presenti sul monumento come a rappresentare l’autorità religiosa del pontefice sul mondo intero, le monete vicino al Rio della Plata simboleggiano il colore argenteo delle acque, il Gange con un lungo remo suggerisce la navigabilità del fiume. Sulla fontana sono raffigurati sette animali in stretta relazione, insieme alle piante, con le personificazioni dei fiumi: un cavallo esce dalla cavità delle rocce con le zampe anteriori sollevate nell’atto di lanciarsi a galoppo sulle pianure danubiane; un gruppo di cactus e un coccodrillo spuntano vicino al Rio della Plata; un leone sbuca, come il cavallo, dalla cavità delle rocce per abbeverarsi ai piedi di una palma africana; un dragone si avvolge intorno al remo tenuto dal Gange; un serpente di terra striscia nella parte più alta, vicino alla base dell’obelisco, e infine un serpente di mare e un delfino (o un grosso pesce) nuotano nella vasca con le bocche aperte, avendo entrambi la funzione di inghiottire le acque (un originale espediente). Sulla scogliera si erge un obelisco romano, copia di quelli egiziani. Alla sommità dell’obelisco è posta una colomba, simbolo dello Spirito Santo, ma è anche lo stemma di papa Pamphili. Indica quindi il trionfo della religione e della Chiesa in generale, ma è anche riferita al papa in particolare, e al suo dominio su tutta la Terra.

Di fronte alla fontana sorge la chiesa di S. Agnese in Agone, del Borromini. È tradizione raccontare che il Bernini avesse rappresentato una delle figure, il Rio della Plata, mentre guarda verso la chiesa sollevando una mano, come per proteggersi dall’imminente caduta dell’edificio; e un’altra, il Nilo, mentre nasconde la testa sotto un velo, per non vedere l’orribile costruzione del Borromini (in realtà il capo velato è un riferimento al fatto che a quei tempi ancora erano sconosciute le origini del Nilo, che saranno scoperte solo nel XIX sec). A sua volta il Borromini avrebbe collocato sulla chiesa, alla base del campanile di destra, una piccola statua di S. Agnese (dai romani detta sora Agnesina) mentre si porta una mano al petto come a voler rassicurare sulla stabilità della chiesa.

Ovviamente questa è solo leggenda perché la chiesa fu terminata qualche anno dopo la fontana. A loro volta i seguaci del Borromini denunciarono l’instabilità della fontana, in quanto l’obelisco poggiava su una parte centrale, cava; il Bernini rispose a questa provocazione mandando di notte due suoi assistenti che legarono con quattro cordicelle l’obelisco ai palazzi intorno. E aveva ragione, perché l’obelisco è ancora lì dopo quasi quattro secoli!

L’acredine, in parte vera, in parte romanzata, tra i due artisti resta uno degli esempi del fermento creativo ed artistico dell’epoca e attesta la fervida attività urbanistica che investì in quegli anni la capitale del culto cristiano, in barba alla profonda crisi economica che si stava diffondendo in Europa e al dissenso della popolazione oberata da tasse e gabelle.

Ma questi tributi hanno reso grande i fasti di Roma.

Si ringrazia per la gentile collaborazione la prof.sa Capasso.

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