Ritratti di pittrici: Berthe Morisot

Berthe Morisot, futura colonna portante del movimento impressionista, nasce nel gennaio del 1841 da una famiglia della media borghesia francese. Come tutte le giovani nate in quel genere di contesto sociale le è stata impartita un’educazione generica che comprendeva anche la pratica di attività come la musica, il disegno e la pittura.

E proprio nei confronti della pittura Berthe e sua sorella Edma dimostrarono l’interesse maggiore, dedicandovisi con passione tale che la madre, piacevolmente sorpresa, chiamò per loro un maestro, il pittore Chocard.

Tuttavia le due allieve si annoiarono presto e riuscirono a far sostituire Chocard con un pittore di Lione, Guichard, il quale avvertì la madre che, con il loro temperamento, Berthe e Edma sarebbero diventate pittrici vere e proprie, più che semplici dilettanti. Per tutta risposta la madre accompagnò con gioia le sue figlie al Louvre, luogo nel quale era possibile copiare – e dunque imparare – dai maestri italiani.

Con Corot, il loro nuovo maestro, le due giovani pittrici sperimentarono la pittura en plein air, complice anche la cerchia di amicizie che proprio la frequentazione del Louvre aveva reso possibile: conversavano abitualmente con Zola, Baudelaire, Stevens e Degas, e molti altri nel corso di tutta la vita della pittrice, ammiratissima da tutti sebbene costantemente insoddisfatta di sé.

Fu proprio tramite uno dei giovani pittori conosciuti al Louvre, Fantin-Latour, che le Morisot conobbero i Manet: Eugène diventerà il marito di Berthe, mentre suo fratello, il celebre Édouard, divenne suo amico e maestro, e al contempo convinto ammiratore della sua pittura.

È a lui che dobbiamo molti ritratti di Berthe, tra i quali due oggi entrambi al Musée d’Orsay: Le balcon, esposto al Salon del 1869, nel quale lei compare insieme ad altri amici della cerchia parigina, e il ritratto in solitaria del 1872, nel quale, colpita da una netta luce laterale che genera altrettanto netti chiaroscuri, Berthe ci appare vestita di un delicato nero, con le celebri violette strette nella mano e i grandi occhi scuri che paiono fissare chi la sta guardando ma che in realtà sono distrattamente concentrati sul vuoto. Manet la dipinse in undici tele, finché non subentrò Eva Gonzales, modella che rapidamente catturò la sua attenzione e divenne oggetto delle sue pennellate, non senza un lieve dispiacere da parte di Berthe.

Nel 1876 partecipa con nove tele e molti pastelli alla sua prima esposizione degli Impressionisti, e la stampa, già indignata per quella pittura moderna, non manca di sottolineare come motivo di ulteriore sdegno la presenza di una donna (l’unica), la quale tuttavia con le sue opere incantò e convinse la platea, sebbene con la riluttanza che tipicamente accompagna il riconoscimento ad una donna del valore che le è proprio.

Croce e delizia della sua vita, con la pittura ebbe un rapporto particolarissimo: vi si dedicava con zelo, intelligenza e straordinaria capacità – tanto che oggi non si può parlare di Impressionismo e neppure di pittura ottocentesca senza dedicare una considerevole parte delle attenzioni alla sua produzione pittorica – raggiungendo risultati in nulla secondi rispetto alle opere di tutti quei colleghi pittori per i quali lei era prodiga di lodi e complimenti, eppure verso sé stessa, verso la sua stessa bravura, Berthe Morisot fu sempre cieca, parca di riconoscimenti, inflessibile nell’insoddisfazione. Parigi la applaudiva, la storia avrebbe prolungato quell’applauso, eppure a sé stessa non ha mai concesso neppure un breve cenno di consenso, incapace di vedere in lei ciò che lei stessa ben riconosceva negli altri e che gli altri riconoscevano chiaramente in lei.

La sua lapide, nel cimitero di Passy, non reca traccia dell’attività per la quale viene oggi ricordata: “Berthe Morisot, vedova di Éugene Manet”, recita l’iscrizione, “senza professione” si legge nel certificato di morte del 1895. Sappiamo però che dietro a quel silenzio epigrafico, dietro alla mancanza di disposizioni testamentarie in merito al futuro delle sue opere, specchio di un’incurabile e profonda insicurezza che è in parte personale ma anche certamente data dalle difficoltà sociali che una donna eredita per il solo fatto di esser nata donna, si cela la più grande pittrice del XIX secolo.

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