REM Le corna di Dio

Dal 14 marzo al 1° aprile la Fondazione Stelline di Milano ospita la mostra Oscura Luce, a cura di Angelo Crespi. Organizzata con il sostegno della Liquid Art System, fondata da Franco Senesi, la rassegna offre un breve ma suggestivo percorso attraverso una selezione di 14 dipinti del giovane pittore pugliese Roberto Ferri, interprete di uno spirito tanto contemporaneo quanto più incarnato in forme classiche.

Nato a Taranto nel 1978, Roberto Ferri si è diplomato al Liceo artistico “Lisippo” di Taranto (1996) e ha completato la propria formazione presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, con una laurea in scenografia (2006). Nei primi anni 2000, l’artista ha iniziato a far conoscere i propri lavori, partecipando alla collettiva Animali e Dei (Roma, galleria “Il Labirinto”, 2002) e tenendo la prima mostra personale, intitolata Roberto Ferri e il sogno del Parnaso (Genzano, Centro d’Arte Contemporanea “Luigi Montanarini”, 2003). In appena quindici anni di attività, ha ottenuto importanti commissioni, tra cui le 14 tele per la Via Crucis (Siracusa, Cattedrale di Noto), il dipinto di San Giovanni Decollato (Siena, Duomo di Montepulciano) e quello dedicato alla beatificazione del patrizio genovese Ettore Vernazza (Genova, Convento delle Suore Figlie di San Giuseppe), e inoltre diversi riconoscimenti, quali il Premio di Scenografia “Antonio Valente” (Sora, 2003), la targa d’argento al 40° Premio “Città di Sulmona” (2013) e la menzione d’onore al Premio “FIGURATIVAS 2013” al MEAM di Barcellona. Fra le numerose rassegne internazionali cui ha preso parte si ricordano: Angeli, Demoni, Miracoli e Arconti (Roma, galleria “Il Labirinto”, 2003), Flesh and Passion (New York, Cfm Gallery, 2008), Erotik (Oslo, Galleria Pan, 2010), Kitsch Biennale 2010 (Venezia, Palazzo Cini, 2010) e la 54° Biennale di Venezia (2011). Alcune sue opere sono comparse nel film di Marco Bellocchio Sangue del mio sangue (2015) e nella serie televisiva Gomorra, tratta dall’omonimo best seller di Roberto Saviano.

Visceralmente ispirate alle surreali metamorfosi agonico-erotiche di Salvador Dalí, le figure di Roberto Ferri sono, in realtà, il prodotto di un complesso lavoro di recupero e rielaborazione di memorie ben più lontane, che trova i punti di riferimento nella tradizione rinascimentale e barocca italiana (Michelangelo, Caravaggio, Guido Reni) e olandese (Hieronymus Bosch, Hendrick Met de Bles, Peter Huys, Pieter Bruegel) e nella pittura neoclassica e accademica francese (Jacques-Louis David, Jean-Auguste-Dominique Ingres, Théodore Géricault, William-Adolphe Bouguereau). Minuzioso osservatore della realtà, Ferri si serve dei propri raffinati mezzi espressivi per comunicare l’incompletezza dell’esperienza sensibile e il conseguente bisogno di integrare la conoscenza della natura e del corpo umano con un’indagine introspettiva che sappia svelare quegli insondabili e insolvibili conflitti che animano il ciclico flusso dell’esistenza. Filo conduttore della mostra è, appunto, il rapporto, ora conflittuale ora armonico, fra persistenza e transitorietà, sacro e profano, coscienza e inconscio, un incontro-scontro che ha luogo nella dimensione intermedia, dinamica e indefinita, del dormiveglia. «Il nero – come spiega il curatore – è il limite dentro il quale sprofondano le certezze, il non colore che genera per esuberanza miracolosa la luce e

dunque anche le cromie ma appena accennate, flebili e quasi momentanee increspature di una buia totalità. Si compie così l’ossimoro della “luce oscura”» che avvolge e amalgama i poli opposti fino a farli coincidere. L’esito finale è quello di una bellezza impura, continuamente corretta o, meglio, corrotta da ambigue ibridazioni naturalistiche o, più spesso ancora, dall’aggiunta di protesi meccaniche che, come le grucce di Dalí, ne confessano l’inaspettata quanto dolorosa fragilità.

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