Ci sono tre modi soltanto per conservare un pensiero nel tempo. Il primo modo è quello scolastico. Si tratta di una modalità conservativa sterile e poco produttiva, che consente sì una conservazione di un pensiero ma senza tuttavia renderlo produttivo e stimolante. È come se un gingillo da museo venisse conservato nel tempo, con cura e ammirazione, ma senza che ad esso venga ridato nuova vita. Un secondo modo, decisamente più creativo e interessante si verifica quanto il filone che si crea diventa man mano una corrente di pensiero dai contorni ben nitidi (platonismo, aristotelismo, neoplatonismo, tomismo, ecc.). C’è sempre il rischio che la conservazione di dottrine, riflessioni e pensieri diventi scolastica, ma questa seconda casistica comprende soprattutto quelle tradizioni filosofiche portate avanti da pensatori originali e creativi che, pur inquadrandosi in un certo filone, ne approfondiscono così tanto i presupposti teorici e gli aspetti dottrinali, da rendere viva la corrente di cui fanno parte (è successo con Plotino e Platone e con Tommaso e Aristotele). Il terzo modo di conservazione di un pensiero di un filosofo assai influente si realizza quando non c’è più una scuola in senso stretto ma le persone pensano con precise categorie filosofiche (magari senza saperlo) e quando ragionano secondo regole noetiche riconducibili a precisi sistemi filosofici. Ritengo che un filosofo possa davvero considerarsi influente se il suo pensiero riesca a sopravvivere e a creare una cultura implicita in grado di orientare – spesso inconsapevolmente e implicitamente – scelte, comportamenti e letture del mondo. Sarebbe assai interessante ricostruire una storia della filosofia che, per i suddetti motivi, ho definito “implicita”, per cercare di ottenere un quadro delle “sopravvivenze filosofiche” che ancora oggi strutturano la cultura del nostro tempo, al di là di etichette e categorie storiografiche e lontano dalle astrattezze degli ambienti accademici. In questo modesto contributo mi limiterò soltanto ad attirare l’attenzione su una di queste infinite sopravvivenze, sperando che questo genere di riflessione incrementi da un lato il desiderio di intensificare la consapevolezza storico-filosofica (e già questo sarebbe un degno traguardo di cui andare fieri) e dall’altro sproni anche a migliorare la realtà che viviamo, esplicitando i pensieri espliciti, realizzandone praticamente i presupposti, progettando nuovi scenari, approfondendo varie questioni (in questo senso la cultura storica diventa il fondamento di un nuovo umanesimo). Nell’allegato 1 (Assi culturali) del Decreto 22 agosto 2007 n. 139 (Regolamento recante norme in materia di adempimento dell’obbligo di istruzione) relativamente all’asse matematico si legge quanto segue: «L’asse matematico ha l’obiettivo di far acquisire allo studente saperi e competenze che lo pongano nelle condizioni di possedere una corretta capacità di giudizio e di sapersi orientare consapevolmente nei diversi contesti del mondo contemporaneo. La competenza matematica, che non si esaurisce nel sapere disciplinare e neppure riguarda soltanto gli ambiti operativi di riferimento, consiste nell’abilità di individuare e applicare le procedure che consentono di esprimere e affrontare situazioni problematiche attraverso linguaggi formalizzati». È un passo assai denso e contiene notevoli spunti di riflessione, e sarebbe arduo svilupparli integralmente nello spazio di questo articolo. Vorrei, infatti, limitarmi ad evidenziare un punto che filosoficamente mi è risultato assai interessante e che vale sicuramente la pena mettere a fuoco. In questo documento ministeriale ufficiale la competenza matematica si configura non come un «sapere disciplinare» ma come l’occasione per gli studenti di affinare capacità che trascendono gli «ambiti operativi di riferimento». In questo senso lo sviluppo di competenze matematiche si prospetta come un trascendimento della matematica stessa. Si tratta di una concezione della matematica che si potrebbe ricondurre, in modo peraltro assai evidente a Platone, il cui pensiero continua evidentemente a sopravvivere fino ai nostri giorni (secondo la terza modalità di sopravvivenza che ho illustrato più sopra). Ebbene, come molti lettori ricorderanno, lo studio della matematica rivestiva per Platone un momento particolarmente importante nell’economia dell’intero percorso paideutico (cioè educativo). Il filosofo ateniese non era interessato agli aspetti tecnici – quelle che si presentano, nel linguaggio del Decreto, come ambiti operativi della matematica – ma era assai focalizzato sulle capacità offerte dalla matematica di affinare il pensiero e renderlo quindi capace e ben disposto ad affrontare, appena pronto, le più importanti questioni dialettiche e filosofiche. Evidentemente ciò non significa che la matematica, considerata nella sua dimensione pratica e operativa, non abbia una notevole importanza e non sia necessaria al progresso tecnico-scientifico alla base della nostra vita – forse sarebbe corretto dire che la matematica è effettivamente più necessaria rispetto ad ogni altra disciplina. La dimensione a cui fa riferimento il Decreto, che su questo punto potrebbe curiosamente definirsi ‘platonico’, è ulteriore e più fondamentale. Difatti, come ha acutamente osservato Giovanni Reale, Platone «non ha matematizzato la metafisica», ma al contrario ha «metafisicamente fondato la matematica» utilizzandola come «strumento formativo e preparatorio alla dialettica» (Giovanni Reale, Storia della filosofia greca e romana, Bompiani, Milano, 2004, vol. 3 Platone e l’Accademia antica, p. 106). La matematica, insomma, deve «svegliare il pensiero» (Werner Jaeger, Paideia, «La Nuova Italia» vol. 2 Alla ricerca del divino, p. 524). Sarebbe difficile fornire in questo modesto contributo ulteriori argomentazioni concernenti questo complesso argomento platonico e mi limiterò a fornire alla fine un suggerimento bibliografico utile al lettore per approfondire la questione. Questi brevissimi e fugaci cenni alla prospettiva platonica aprono però uno scenario oggi inedito. In un tempo come il nostro, schiacciato e appiattito al più arido e vuoto immanentismo, una prospettiva simile aiuterebbe sicuramente gli studenti, spesso perplessi di fronte complesse operazioni matematiche delle quali – giustamente, almeno dalla loro prospettiva – faticano a scorgerne il senso, ad affinare il pensiero fino al punto da sfruttare gli enormi benefici derivanti dallo studio della matematica per interrogare realtà trascendenti che richiedono diversi tipi di approcci noetici, meno operativi e più speculativi. Il
riferimento testuale (certamente non l’unico, ma sicuramente quello più significativo) è Repubblica VII, 529 A – 532D. In questa lunga e densa sezione dell’opera, Platone fa cimentare Glaucone e Socrate in un ricco dialogo incentrato sull’astronomia e sulla musica, considerate però nella doppia dimensione operativa e metafisica. Ebbene, è proprio Socrate a spiegare con estrema chiarezza che tali discipline, considerate metafisicamente, per poter divenire esse stesse scienze propedeutiche alla dialettica, devono oltrepassare l’orizzonte sensibile nelle quali la tendenza operativa tende a confinarle (l’astronomia come osservazione sensibile del cielo e l’armonia come ascolto dei suoni reali prodotti da strumenti). Il passaggio dal piano sensibile a quello intellegibile è un’impresa, a dire di Glaucone, «quasi divina», un passaggio che è stato giustamente definito come una conduzione dell’anima all’Essere (W. Jaeger, Paideia, p. 524). Non basta, dunque, conoscere gli aspetti operativi ma, a partire da essi, l’anima deve, con uno sforzo divino, volgersi al vero Essere che sta oltre le apparenze sensibili che tali scienze appunto indagano, ponendo le domande fondamentali. Chi ha redatto il Decreto aveva in mente tutto questo? È difficile dirlo e, forse, è anche inutile saperlo. L’aspetto senz’altro più importante è che ancora oggi, in un tempo così povero di riflessioni e contenuti e così deprivato di prospettive ulteriori, simili spunti possono ancora rivenirsi in documenti peraltro ufficiali, e ciò forse è la prova concreta che una storia della filosofia implicita esiste.
Per chi volesse approfondire la questione suggerisco questo testo: Elisabetta Cattanei, Enti matematici e metafisica. Platone, l’Accademia e Aristotele a confronto, Vita e Pensiero, Milano, 1996.